Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 22/02/2024
Le ingenti quantità di denaro che il Paese africano ottiene dalla vendita degli idrocarburi finiscono nei conti della Libya Foreign Bank, posseduta al 100 per cento dalla Banca centrale
Le continue tensioni in Libia tornano a minacciare i giacimenti e gli impianti di idrocarburi, inclusi quelli legati all’Italia. A circa un mese dalla riapertura del giacimento petrolifero di Sharara, il più grande del Paese nordafricano membro dell’Opec con un output di circa 270 mila barili di greggio al giorno, un gruppo armato minaccia di chiudere le valvole che collegano i giacimenti petroliferi del sud, incluso El Feel operato dall’Eni, alla città costiera Zawiya, situata a ovest di Tripoli. Non solo. Rischia di essere impedito l’accesso e l’uscita dei lavoratori dal complesso petrolifero e del gas di Mellitah, a est della città di Zuwara. Questa volta la minaccia proviene dalle Guardie delle strutture petrolifere nella Libia occidentale, un’agenzia militare nominalmente affiliata al ministero della Difesa, guidata dal primo ministro ad interim del Governo di unità nazionale, Abdulhamid Dabaiba.
“Agenzia Nova” ne ha parlato con tre esperti: Karim Mezran, senior fellow del Rafik Hariri Center dell’Atlantic Council di Washington; Tarek Megerisi, senior policy fellow presso l’European Council on Foreign Relations (Ecfr); e Jalel Harchaoui, ricercatore specializzato in Libia. In una video-dichiarazione letta davanti al complesso petrolifero e del gas di Mellitah, l’unico snodo per l’esportazione del gas libico verso l’Italia attraverso il gasdotto Greenstream, le Guardie delle strutture petrolifere hanno lanciato un nuovo ultimatum: l’accesso agli impianti di Zawiya, Mellitah e Misurata verrà impedito se non saranno rispettate le promesse sugli aumenti salariali e di welfare entro domenica, 25 febbraio. Le stesse Guardie delle strutture petrolifere hanno fatto sapere ad “Agenzia Nova” che “se le risposte del primo ministro non saranno soddisfacenti, precluderemo l’ingresso agli impianti (dei dipendenti) finché le richieste non verranno accolte in modo equo”. La chiusura delle linee di trasporto del petrolio a Zawiya potrebbe scatenare nuovi disordini nel settore energetico e portare al ritorno delle lunghe interruzioni di corrente in Libia, causate dall’esaurimento delle riserve che alimentano il sistema elettrico. È passato circa un anno da quando l’elettricità ha iniziato a essere più stabile nel Paese, anche grazie al fatto che la stragrande maggioranza del gas estratto in Libia viene utilizzato per scopi interni. Solo una piccola parte viene esportata in Italia, con un impatto visibile sulle importazioni complessive e sulla domanda nazionale.
Secondo Mezran, tra i massimi esperti di Nord Africa, in realtà sarebbe tutto un bluff. “Dietro questo sviluppo c’è l’ennesimo capitolo della lotta tra il governatore della Banca centrale, Al Saddiq al Kabir, che non vuole emettere un budget a scatola chiusa, e il primo ministro del Governo di unità nazionale (Gun), Abdulhamid Dabaiba, quest’ultimo senza soldi e con il terreno che frana sotto i piedi”, spiega ad “Agenzia Nova” Karim Mezran, tra i massimi esperti internazionali di Nord Africa, senior fellow del Rafik Hariri Center dell’Atlantic Council di Washington. “Dabaiba sta compiendo tali azioni disperate nel tentativo di esercitare pressione sugli occidentali affinché lo aiutino a convincere Al Kabir a sbloccare i fondi”, aggiunge l’ex direttore del Centro studi americani. “E quando Dabaiba è disperato, allora tutto diventa possibile. Non è in grado di scalzare il governatore della Banca centrale, ma può spingere qualcun altro, come gli statunitensi o gli italiani, a intervenire”, aggiunge Mezran. La minaccia di chiudere il gasdotto Greenstrem è chiaramente uno strumento manipolativo da parte di Dabaiba, ma secondo Mezran c’è il rischio che possa risolversi in un fallimento controproducente.
Vale la pena ricordare che le ingenti quantità di denaro che la Libia ottiene dalla vendita degli idrocarburi (petrolio, gas, condensati) finiscono nei conti della Libya Foreign Bank, posseduta al 100 per cento dalla Banca centrale. Questi fondi vengono poi spesi attraverso quattro capitoli di bilancio – stipendi, sovvenzioni, spese operative e progetti di sviluppo – che teoricamente dovrebbero includere tutte le regioni del Paese. L’autorizzazione alle spese è affidata al ministero delle Finanze, seguito dalla programmazione operata dal ministero della Pianificazione. Ma il budget del Governo di unità nazionale di Tripoli non è mai stato approvato dalla Camera dei rappresentanti che si riunisce a Bengasi. Per ovviare a questo dilemma è in vigore un esercizio provvisorio mensile, che consente cioè di spendere ogni mese fino a un dodicesimo di quanto previsto nel bilancio dell’anno precedente.
Secondo quanto appreso da “Agenzia Nova”, il bilancio libico per il 2024 è completamente bloccato e il budget per gli investimenti del 2023 deve ancora essere approvato. Tutto ciò in un contesto contraddistinto dall’opacità dei conti e da sospetti riguardanti il possibile movimento di ingenti somme di denaro al di fuori dei canali ufficiali. Secondo il ricercatore Harchaoui, la situazione è tremendamente più complicata di quanto possa sembrare in superficie. “Sul terreno, stanno emergendo dinamiche estremamente problematiche. Nonostante le preoccupazioni del governatore della Banca centrale riguardo alla sua immagine pubblica, la situazione attuale è tutt’altro che favorevole. Tra queste dinamiche, vi sono i continui sforzi del ministro dell’Interno (Imad Trabelsi, ex vice capo dell’intelligence originario di Zintan) per allontanare gli Amazigh (i berberi) dal loro tradizionale controllo del gasdotto vicino a Zuwara e, soprattutto, dal complesso energetico di Mellitah, che hanno storicamente dominato per diversi anni”, conclude l’esperto.
Megerisi, senior policy fellow presso l’Ecfr, ritiene che l’ultimatum delle Guardie delle strutture petrolifere sia indicativo di “quanto la situazione a Tripoli stia diventando tesa”, ma anche “dell’agitazione crescente del clan Dabaiba”, il quale ha un accesso estremamente limitato ai fondi emessi dalla Banca centrale. L’analista di Ecfr interpreta la minaccia di chiusura dei gasdotti anche come “un segnale del deterioramento dei rapporti con i principali oligarchi di Misurata”, la città-Stato a est di Tripoli, nota per ospitare milizie considerate tra le più potenti della Libia. “L’uso delle Guardie petrolifere per esercitare pressioni sui rivali non è una novità nel panorama politico libico. Tuttavia, è una mossa rischiosa poiché una chiusura effettiva danneggerebbe l’immagine dei Dabaiba all’estero e metterebbe a rischio la stabilità dell’approvvigionamento di elettricità, una delle poche vittorie dell’attuale amministrazione”, conclude l’esperto.