Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 06/03/2024
Varvelli: «Non sarebbe la prima volta che attori interni libici sostengono in qualche modo di volersi unire e poi disattendono invece queste chance e queste possibilità»
Timidi spiragli di speranza arrivano dalla Libia, l’ex Jamahirya di Muammar Gheddafi dilaniata da anni di guerre civili, divisioni politiche e traffici illeciti di carburante, petrolio ed esseri umani. Un importante ministro del Governo di unità nazionale (Gun) di Tripoli, l’amministrazione che controlla la Tripolitania (nord-ovest) e che è riconosciuta dalle Nazioni Unite, ha teso la mano all’Esercito nazionale libico (Enl) di Bengasi, la coalizione militare guidata dal generale Khalifa Haftar che controlla la Cirenaica (est) e gran parte del Fezzan (sud-ovest). “Siamo pronti a formare una forza congiunta con il Comando generale (dell’est) nella regione meridionale”, ha detto il ministro dell’Interno di Tripoli, Imad Trabelsi, parlando ieri all’hotel Rixos di Tripoli all’evento dal titolo “Soluzioni ottimali per la gestione delle frontiere per un futuro migliore”. “Agenzia Nova” ne ha parlato con Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma dello European Council on Foreign Relations (Ecfr) ed esperto di Libia.
“Non sarebbe la prima volta che attori interni libici sostengono in qualche modo di volersi unire e poi disattendono invece queste chance e queste possibilità”, afferma Varvelli, esprimendo scetticismo sull’annuncio di Trabelsi. “Abbiamo visto in tante altre occasioni la firma di patti, trattati e road map su pressione internazionale per conseguire alcuni risultati e operare insieme. Poi le parti libiche si sono sempre sottratte in qualche maniera e il coordinamento non è mai partito, a parte alcuni casi. Ma le forze di polizia, in questo caso, non si sono mai integrate”, ricorda Varvelli. Eppure, secondo il ministro Trabelsi, originario di Zintan, importante città della Libia occidentale incastonata tra le montagne Nefusa e considerata fondamentale per gli equilibri politico- militari della Tripolitania, la forza congiunta potrebbe essere pronta “entro due o tre mesi”, operando con “un migliaio di veicoli e 5mila poliziotti da est, sud e ovest”.
Un dossier, quello della sicurezza dei confini libici, che riguarda a ben vedere anche l’Italia. Secondo gli ultimi dati ufficiali italiani visti da “Agenzia Nova”, il numero totale di migranti sbarcati in Italia dalla Libia al 31 dicembre 2023 è stato di circa 51.700, di cui 16.500 (-19,51 per cento) provenienti dalla regione orientale della Cirenaica e 35.200 (+8,31 per cento) dalla regione occidentale della Tripolitania. Non solo. L’instabilità che sta colpendo tutti i Paesi del Sahel rischia di aumentare la pressione sulla Libia. Basti pensare che i flussi migratori in Niger hanno visto un “forte aumento” del 45 per cento a gennaio 2024 rispetto al precedente mese di dicembre, quando era già stato osservato un incremento a seguito dell’abrogazione della legge 036/2015, che ha depenalizzato il traffico di esseri umani, da parte della nuova giunta militare al poter a Niamey.
Anche la catastrofica situazione in Sudan, dove è in corso una guerra civile, ha comportato un aumento dei flussi migratori nel sud-est della Libia e in particolare nella città-oasi di Kufra. Secondo Abdullah Suleiman, portavoce del Consiglio municipale di Kufra, ondate di sudanesi irrompono in città in modo improvviso e disordinato, causando una vera e propria crisi umanitaria. Nella regione è attiva la milizia Subul al Salam, un battaglione che si ispira ai principi dell’islam salafita affiliato all’Enl di Haftar. Sono questi miliziani a controllare il poroso confine libico-sudanese e sono loro a controllare i camion che attraversano la frontiera con merci, carburante di contrabbando e migranti illegali. “La situazione in Sudan è tragica e molto difficile. Ci si aspettano dei flussi importanti, cosa che probabilmente avverrà adesso e questo è sicuramente una fonte di preoccupazione importante un po’ per tutti”, commenta Varvelli.
La dinamica dei flussi migratori in Libia è in continua evoluzione. Secondo l’ultima Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza dei servizi segreti italiani, “la ripresa progressiva della direttrice migratoria dalla Tripolitania, rispetto a quella dalla Cirenaica, conferma l’estrema capacità dei gruppi criminali strutturati di adattare il loro modus operandi alle azioni di contrasto delle autorità locali”. Del resto, lo stesso ministro Trabelsi aveva confermato nell’incontro del 14 febbraio con l’omologo italiano, Matteo Piantedosi, che il problema dell’immigrazione clandestina in Libia “sta peggiorando” e che l’Italia dovrebbe offrire il suo “sostegno nello sviluppo della capacità della polizia libica, sia attraverso corsi di formazione che attraverso supporto tecnico”. Secondo Varvelli, la mano tesa di Trabelsi a Haftar è soprattutto una risposta a pressioni esterne. “Naturalmente, rimane da vedere se verrà effettivamente intrapresa qualche azione concreta. È ben noto che il controllo delle frontiere è già difficile in condizioni normali di stabilità statale.
È importante ricordare che anche Gheddafi stesso non era in grado di controllarle completamente e aveva delegato alcune responsabilità ai Tuareg. Il controllo completo di queste frontiere desertiche, senza confini geografici definiti, è sempre stato estremamente complesso”, afferma il direttore di Ecfr a Roma. Per il ministro Trabelsi, “la sicurezza delle frontiere è una questione di amministrazione integrata, non di politica. Se siamo in sintonia, saremo in grado di proteggere le frontiere del nostro Paese entro 90 giorni”.
Tuttavia, secondo Varvelli, invece, il possibile coordinamento tra est e ovest per il controllo dei confini meridionali richiederebbe necessariamente anche un “coordinamento politico” per definire chi ha autorità su quali territori e quali forze devono essere coinvolte. “Sebbene queste dichiarazioni sembrino positive, è importante esaminarle con cautela”, sottolinea l’esperto, esprimendo preoccupazione sul rischio che i flussi migratori possano essere strumentalizzati per ottenere finanziamenti, attrezzature di sicurezza e sostegno militare dall’Europa. “In questo modo, c’è il rischio di rafforzare comunque il loro potere nei nostri confronti: concentrandoci esclusivamente sulla gestione delle crisi migratorie, finiamo per concedere loro una forma di potere”, conclude Varvelli.