Niger: gli Usa in pressing sulla giunta per scongiurare il ritiro delle truppe

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 20/03/2024

Il Pentagono non ha ancora emesso l’ordine per le truppe statunitensi di ritirarsi dal Niger

Dopo il fulmine a ciel sereno arrivato sabato scorso con l’annuncio della giunta militare del Niger di voler sospendere, “con effetto immediato”, gli accordi di cooperazione militare con Washington, gli Stati Uniti tentano di correre ai ripari per non perdere un avamposto strategico per la lotta al terrorismo jihadista nella regione del Sahel. Secondo quanto riferito dal portale d’informazione statunitense “Al Monitor”, il Pentagono non ha ancora emesso l’ordine per le truppe statunitensi di ritirarsi dal Niger poiché l’amministrazione del presidente Joe Biden spera ancora di negoziare con i leader della giunta nel tentativo di arginare la penetrazione militare della Russia in Africa, e rimane in contatto con i funzionari nigerini, tramite l’ambasciata a Niamey, per “chiedere chiarimenti” sull’annuncio.

Come ha spiegato in un briefing con la stampa la vice portavoce Sabrina Singh, il Pentagono è in contatto con le autorità del Niger e sta lavorando per “trovare il modo di far rimanere le truppe statunitensi nel Paese”, che rappresenta una importante base per le operazioni di contrasto al terrorismo nell’Africa sub-sahariana. “Stiamo lavorando per trovare il modo di far rimanere le truppe statunitensi nel Paese”, ha aggiunto Singh, esprimendo la “preoccupazione” di Washington in merito ai “crescenti legami” del Paese con la Russia e l’Iran. In un briefing con la stampa tenuto lunedì sera, il vice portavoce del dipartimento di Stato, Vedant Patel, ha fatto sapere che le autorità statunitensi sono in contatto con il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp), il nome assunto dalla giunta militare che ha preso il potere in Niger dopo il colpo di Stato dello scorso 26 luglio.

“La dichiarazione del Consiglio è arrivata dopo la visita in Niger di una delegazione statunitense: abbiamo chiesto più informazioni alle autorità di transizione per valutare i prossimi passi”, ha detto Patel, aggiungendo che la cooperazione statunitense con i Paesi dell’Africa occidentale porta “benefici per entrambe le parti coinvolte, soprattutto per il raggiungimento di obiettivi comuni come la lotta al terrorismo e la creazione di un contesto favorevole allo sviluppo economico e sociale”. Prima dell’annuncio della giunta nigerina di voler interrompere la cooperazione militare con Washington, la scorsa settimana era stato il comandante in capo del Pentagono in Africa, il generale Michael Langley, a dire ai legislatori del Senato che un certo numero di altri Paesi nelle regioni del Maghreb e del Sahel “sono sul punto di essere catturati dalla Federazione Russa” in termini d’influenza, grazie anche alle campagne di disinformazione condotte dal Cremlino che diffondono “false narrazioni” nella regione. “Questo è il fianco meridionale della Nato.

Dobbiamo essere in grado di mantenere l’accesso e l’influenza in tutto il Maghreb, dal Marocco alla Libia”, ha affermato Langley, sottolineando che sia la Russia che la Cina stanno perseguendo strategie a lungo termine in Africa. “Penso che, a un ritmo accelerato, la Federazione Russa stia davvero cercando di conquistare l’Africa centrale e il Sahel”, ha aggiunto Langley. Dopo la definitiva estromissione della Francia, e la rottura degli accordi di difesa con l’Unione europea, la giunta militare al potere in Niger ha annunciato sabato scorso la sospensione, “con effetto immediato”, della cooperazione militare con un’altra potenza occidentale che finora aveva mantenuto una presenza militare nel Paese del Sahel: gli Stati Uniti.

In un messaggio trasmesso dalla televisione nazionale “Rtn”, il colonnello Amadou Abdramane – portavoce della giunta militare di Niamey – ha annunciato l’interruzione dell’accordo relativo allo status delle forze armate Usa e del personale civile del dipartimento di Difesa Usa nel territorio nigerino, definendo la presenza militare statunitense “illegale” e in violazione di “tutte le regole costituzionali e democratiche”. Non solo: secondo Niamey è illegittimo e “ingiusto” lo stesso accordo, che sarebbe stato “imposto unilateralmente” dagli Stati Uniti, tramite una “semplice nota verbale”, il 6 luglio 2012. Nel mirino delle autorità di Niamey, in particolare, c’è l’accusa “cinica” di aver stretto un accordo segreto per fornire uranio all’Iran e la “minaccia di ritorsioni” da parte di una delegazione statunitense guidata da Molly Phee, assistente segretaria di Stato per gli Affari africani, e comprendente anche il generale Michael Langley, comandante del Comando Usa per l’Africa (Africom), che la scorsa settimana ha effettuato una visita di tre giorni nel Paese.

Le autorità di Niamey hanno contestato anche le obiezioni che gli Usa avrebbero sollevato sugli alleati scelti dal Niger, nonché il mancato rispetto del protocollo diplomatico: la giunta non sarebbe stata infatti informato della composizione della delegazione, della data di arrivo e dell’agenda della missione. L’annuncio ha colto di sorpresa Washington, che anche dopo il golpe di luglio ha mantenuto – così come l’Italia – una sua presenza militare nel Paese, sebbene ridimensionata. L’annuncio rappresenta un duro colpo per la presenza Usa in un Paese considerato strategico per la lotta al terrorismo, anche in ottica antirussa e anti-cinese. Il Niger è infatti da anni il centro delle operazioni statunitensi nell’Africa occidentale e settentrionale. Secondo un recente rapporto della Casa Bianca presentato al Congresso, a dicembre gli Usa aveva circa 650 effettivi presenti in Niger (erano circa 1.100 fino al riposizionamento deciso a settembre, in seguito al golpe).

L’esercito statunitense gestisce inoltre due basi aeree: la prima, la Base 101, è situata all’aeroporto di Niamey, mentre l’altra, la Base 201, è stata costruita per circa 110 milioni di dollari nella città nigeriana di Agadez (a circa 920 chilometri a nord-est della capitale Niamey) e viene utilizzata dal 2018 per prendere di mira i combattenti dello Stato islamico e del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim), affiliato ad al Qaeda, nella regione del Sahel. La base – l’unico avamposto Usa ancora operativo tra l’Equatore e il Mediterraneo, assieme a quello di Gibuti – ospita al momento due aerei ricognitori elettromagnetici, due elicotteri di manovra e una decina di droni MQ 9 Reaper, che consentono ai militari di avere una visione dell’intero Sahel e, in particolare, della Libia, che è la via d’accesso al Mediterraneo.

Il ritiro forzato dei militari Usa, se sarà confermato, rappresenterebbe un enorme passo indietro per Washington che, specie negli ultimi tempi, si era mostrata piuttosto conciliante nei confronti della giunta, nell’evidente timore di vedersi estromessa da un Paese strategico, col serio rischio di vederlo scivolare nell’orbita russa, così come i vicini Mali e Burkina Faso. Sebbene nell’ottobre scorso gli Usa avessero ufficialmente definito come un colpo di Stato la presa del potere militare in Niger e la destituzione del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum (con tutte le conseguenze, anche finanziarie, che ciò comporta), a dicembre l’inviato Usa per l’Africa, Molly Phee, aveva aperto al ripristino degli aiuti e dei legami di sicurezza da parte degli Stati Uniti se il Niger avesse soddisfatto determinate condizioni. “Nelle nostre discussioni ho confermato l’intenzione degli Stati Uniti di riprendere la cooperazione per la sicurezza e lo sviluppo in fasi, di pari passo con le azioni del Cnsp”, aveva detto Phee nel corso di una conferenza stampa tenuta a Niamey dopo aver incontrato i vertici della giunta, tra cui il leader della transizione Abdourahamane Tchiani (che non l’ha invece ricevuta la scorsa settimana).

Prima dell’annuncio di sabato, il Niger aveva precedentemente messo fine alla cooperazione militare con la Francia. Dopo un lungo tira e molla diplomatico, culminato con l’espulsione dell’ambasciatore francese a Niamey, lo scorso 24 settembre il presidente francese, Emmanuel Macron, aveva così annunciato il ritiro del contingente ancora presente in Niger, ritiro iniziato il 5 ottobre e completato il 22 dicembre. Dal 2015 la Francia ha inviato circa 1.500 militari nel Paese africano per contribuire a contrastare l’intensificarsi dell’insurrezione jihadista.

Le truppe francesi erano stanziate nella capitale Niamey e nelle basi di Ouallam e Ayorou, vicino al confine con il Mali. Successivamente, nel dicembre scorso, la giunta ha annunciato la sospensione degli accordi di difesa e sicurezza con l’Ue, stipulati per sostenere le autorità nigerine nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e all’immigrazione irregolare. In un comunicato, il ministro degli Esteri di Niamey aveva annunciato in particolare la revoca l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su circa 130 gendarmi e agenti di polizia messi a disposizione dagli Stati membri dell’Ue per svolgere la sua azione.