Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 29/04/2024
Il piano di Iraq, Turchia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti di cooperare per l’attuazione del progetto Via dello sviluppo (Development Road), che prevede la costruzione di un sistema di infrastrutture stradali e ferroviarie per facilitare la connettività tra il Golfo persico e l’Europa, “è molto ambizioso ma poggia su basi deboli”. È quanto sostiene Francesco Sassi, ricercatore della società privata indipendente Ricerche industriali ed energetiche (Rie), interpellato da “Agenzia Nova”. Il progetto Via dello sviluppo, proposto lo scorso anno dal primo ministro iracheno Mohammed Shia’ al Sudani, ha un costo stimato in 17 miliardi di dollari e si estende dal confine settentrionale turco-iracheno per tutta la lunghezza dell’Iraq, attraverso una rete stradale e ferroviaria di 1.200 chilometri che tocca le città di Bassora, Baghdad e Mosul, fino al porto commerciale di Al Faw, sulla costa sud che si affaccia sul Golfo persico.
Lunedì scorso i ministri dei Trasporti di Iraq, Razzaq Muhaibis, della Turchia, Abdul Qadir Uraloglu, del Qatar, Jassim bin Saif bin Ahmed al Sulaiti, e il ministro dell’Energia e delle Infrastrutture emiratino, Suhail Mohammed Faraj al Mazroui, hanno firmato a Baghdad un memorandum d’intesa che delinea l’impegno dei rispettivi paesi a stabilire le misure necessarie per l’attuazione del progetto infrastrutturale, ritenuto di importanza strategica per promuovere la crescita economica regionale. Secondo Sassi, tuttavia, “è oggi troppo presto poter dire se questo progetto può essere una potenziale via alternativa a un corridoio tanto importante come quello di Suez o del Mar Rosso”.
Allo stesso tempo, risulta complicato prevedere quanto Via dello sviluppo possa rivelarsi concorrenziale rispetto al corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (Imec), lanciato lo scorso anno in occasione del vertice del G20 di Nuova Delhi con l’obiettivo di rafforzare l’integrazione economica tra l’Asia, il Golfo persico e l’Europa. Il progetto infrastrutturale che coinvolge Iraq, Turchia, Qatar ed Emirati Arabi “poggia su basi ancora più incerte di quelle dell’Imec”, osserva Sassi. “Via dello sviluppo nasce da un intento ben preciso, legato al protagonismo politico-economico di Ankara e Baghdad nel contesto delle attuali tensioni in Medio Oriente. Dietro la volontà di creare un corridoio che eviti Arabia Saudita e Israele, che nella regione hanno posizioni molto vicine a quelle dell’amministrazione statunitense Joe Biden, c’è infatti anche un aspetto geopolitico”, spiega il ricercatore di Rie.
Ma a rendere deboli le basi del progetto, a detta di Sassi, è il fatto che “ci sono quattro paesi (Iraq, Turchia, Qatar ed Emirati) che hanno agende molto specifiche e diverse nella regione, in un contesto di crescenti tensioni”. “Turchia e Iraq hanno una posizione chiara nel conflitto nella Striscia di Gaza. Soprattutto Ankara sostiene esplicitamente Hamas. Il Qatar cerca di sostenere la diplomazia regionale, mentre gli Emirati sono i paesi della regione che più hanno sostenuto Israele e sono tra l’altro gli unici dei quattro a essere coinvolti nel corridoio Imec, e quindi c’è anche una certa ambiguità”, sottolinea il ricercatore di Rie. “Inoltre, così come sta succedendo all’Imec, Via dello sviluppo dovrà fare i conti con una realtà politica ed economica che incombe sugli investitori e sugli investimenti. Immagino che giustamente si vogliano coinvolgere partner internazionali e in questo momento i rischi che incorrono in tutta la regione del Medio Oriente, dallo Stretto di Hormuz al Libano, dal Mar Rosso al Kurdistan iracheno, appaiono molto forti e deleteri per qualsiasi progettualità che deve basarsi su finanziamenti della finanza globale e delle organizzazioni internazionali”, spiega l’analista.
“Viene da dire che lo scenario internazionale è fuori dal controllo della diplomazia, che è l’ultimo tassello capace di far evitare che il contesto regionale esploda in modo ancora maggiore”, aggiunge Sassi, in riferimento alla guerra nella Striscia di Gaza, alla crisi nel Mar Rosso e alla potenziale escalation tra Israele e Iran. Secondo il ricercatore di Rie, inoltre, nel caso di una possibile offensiva della Turchia contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) nel nord dell’Iraq, già evocata più volte dal presidente turco Erdogan, “la situazione di instabilità potrebbe aggravarsi ulteriormente”. “Probabilmente nessuna azienda di costruzioni ferroviaria occidentale si impartirebbe un rischio simile, finanziando opere in un contesto di violenza interstatale tanto accesa”, osserva Sassi. E in merito ai tempi per la realizzazione e il completamento del progetto infrastrutturale tra Iraq, Turchia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, “essendo questo direttamente influenzato dal contesto geopolitico si prospetta uno scenario di lungo periodo per il suo sviluppo”, conclude il ricercatore di Rie.