Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 18/05/2024
Si punta a incrementare l’export nel Paese mediorientale e sostenere gli investimenti nel settore privato fino a 1 miliardo
L’accordo quadro concluso questa settimana da Sace con la banca irachena Trade Bank of Iraq è destinato a promuovere l’export del Made in Italy in un Paese, l’Iraq, che ha da sempre rappresentato un mercato molto interessante per le industrie italiane. L’accordo – firmato da Alessandra Ricci, amministratrice delegata di Sace, e Bilal Sabah Alhamdani, presidente della Trade Bank of Iraq, con un pool di banche internazionali – ha l’obiettivo di incrementare l’export del Made in Italy nel Paese mediorientale e sostenere gli investimenti nel settore privato fino a 1 miliardo di euro, in ottica di diversificazione del settore del petrolio e del gas. Alla cerimonia di firma, alla quale ha preso parte anche l’ambasciatore italiano a Baghdad, Maurizio Greganti, sono stati siglati cinque protocolli d’intesa per un valore complessivo di 775 milioni di euro tra esportatori italiani e acquirenti iracheni.
Tra i nuovi progetti in cantiere è prevista: la costruzione di un complesso siderurgico con acciaieria e laminatoio da parte di Danieli; la costruzione di un impianto di produzione di prodotti in vetro da parte di FalorniTech; un altro per la produzione di farmaci da parte di Tecno Electric e Csv Life Science Group e un impianto di agricoltura integrata di B2firms; e un altro ancora per la produzione del vetro da parte di Bottero Spa. Lo scorso 17 febbraio, il primo ministro iracheno, Mohammed Shia’ al Sudani, aveva auspicato la partecipazione delle aziende italiane ai progetti di sviluppo e la collaborazione delle stesse con il settore privato del suo Paese. Il capo del governo iracheno lo aveva ribadito, in particolare, al vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a margine della Conferenza di Monaco sulla sicurezza.
Al colloquio, peraltro, aveva partecipato anche il condirettore generale di Leonardo, Lorenzo Mariani. Al Sudani si sarebbe peraltro dovuto recare a Roma lo scorso 10 maggio per incontrare a palazzo Chigi la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ma la visita è stata rimandata a data da destinarsi. Secondo il sito web “Infomercatiesteri”, l’Iraq ha degli indubbi punti di forza come: le sue dinamiche demografiche, con un’alta percentuale di popolazione compresa nella fascia d’età lavorativa 15-64 anni; il forte settore agricolo e un’industria agroalimentare – non abbastanza sviluppata – che necessita di macchinari; il settore petrolchimico, il quale necessita di macchinari, componenti, prodotti semilavorati, prodotti chimici, che l’industria autoctona non è in grado di produrre in maniera efficiente e devono quindi essere importati; il settore delle costruzioni; e il fatto che occupa una posizione strategica a livello mondiale. Infine, avendo a disposizione considerevoli riserve petrolifere e di gas, l’Iraq è destinato a giocare un ruolo importante nello scacchiere geopolitico.
Dell’Iraq, tuttavia, non si possono sottacere alcuni fattori di debolezza: sono numerose le imprese italiane, da tempo presenti in Iraq, che oggi lamentano la difficoltà a riscuotere i crediti maturati nei confronti dei committenti pubblici, a livello federale e locale; per tale motivo, diventa sempre più difficile reperire accesso al credito ed export facilities per operazioni commerciali nel Paese; l’aumento delle spese di carattere bellico e il calo del prezzo del petrolio hanno portato il governo a dismettere la gestione di alcuni progetti infrastrutturali (come il Grande porto di Al Faw) affidati precipitosamente al settore privato, accelerando in modo disordinato quella transizione che proprio in un momento come quello attuale andrebbe monitorata delicatamente; la stessa Regione autonoma del Kurdistan iracheno, che lamenta la mancata corresponsione da parte di Baghdad delle quote di bilancio a essa spettanti e che si trova anch’essa impegnata finanziariamente per le vicende belliche, vive i problemi che vive lo Stato federale.
L’economia dell’Iraq, in transizione dalla fase dell’economia pianificata con preponderanza di imprese pubbliche a un assetto di libero mercato, ha vissuto una crisi, a causa della lotta contro lo Stato islamico e della critica situazione di sicurezza, dalla quale sta lentamente uscendo. Da sempre un mercato interessante per le industrie italiane, l’Iraq ha subito un arresto di investimenti privati dall’estero quando forse ne avrebbe più bisogno, per via di uno stato d’emergenza sotto diversi profili: oltre alla sicurezza, le difficoltà in termini di riconciliazione interna tra le differenti componenti etnico-religiose e una crisi economica dalla quale il Paese si sta risollevando, grazie anche all’aumento dei proventi del petrolio. È su questo sfondo che vanno valutate le opportunità per le imprese italiane nel Paese e che si inserisce il recente accordo di Sace.