Libia: PetroChina firma un accordo d’investimento a lungo termine

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 25/05/2024

Arabian Gulf Oil Company (Agoco), cederà il 40 per cento dell’estrazione dei bacini petroliferi di Al Nafura e Al Sarir

Arabian Gulf Oil Company (Agoco), compagnia petrolifera libica con sede a Bengasi, nell’est del Paese, ha firmato un accordo con l’azienda cinese PetroChina per cedere il 40 per cento dell’estrazione dei bacini petroliferi di Al Nafura e Al Sarir, in cambio di investimenti in infrastrutture e armi. Lo riferisce il sito web d’informazione edito a Londra e di proprietà saudita “Elaph”, citando una fonte libica informata. Un incontro a tal riguardo si è tenuto il 3 aprile scorso a Bengasi tra i dirigenti di PetroChina e il comandante in capo dell’Esercito nazionale libico (Enl), Khalifa Haftar, suo figlio, Saddam Haftar, il presidente della National Oil Corporation (Noc) libica, Farhat Bengdara, e il presidente di Agoco (azienda controllata della Noc), Mohammed bin Shatwan.

Nell’occasione era stato firmato un contratto di investimento a lungo termine, in base al quale Agoco cederà all’azienda cinese il 40 per cento dell’estrazione dei bacini petroliferi di Al Nafura e Al Sarir, la cui produzione complessiva è stimata in 280 mila barili di petrolio al giorno. In cambio, secondo “Elaph”, la Cina ha promesso all’est della Libia investimenti in infrastrutture per un periodo di 30 anni, oltre ad equipaggiamento e addestramento militare. La piattaforma mediatica libica “Fawasel media” ha ripreso ieri l’argomento titolando: “La Libia cede parte dei suoi diritti su una compagnia petrolifera a una compagnia cinese”. Vale la pena ricordare che nell’est del Paese nordafricano, diviso in due amministrazione politiche rivali a Tripoli e a Bengasi, un consorzio guidato dalla Cina ha recentemente espresso interesse per la ricostruzione di Derna, la città libica devastata dalle inondazioni della tempesta subtropicale provocata dal passaggio del ciclone “Daniel”.

Ali al Saidi, ministro dell’Economia del cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn) designato dalla Camera dei rappresentanti, il parlamento eletto nel 2014 e con sede nell’est, aveva ricevuto nei mesi scorsi una delegazione del Bfi Management Consortium, alleanza che secondo il quotidiano libico “Libya Herald” annovera la China Railways International Group Company e la britannica Arup International Engineering Company. “L’economia libica richiede un deciso impulso verso l’apertura agli investimenti come alternativa alla dipendenza dallo Stato”, aveva affermato Al Saidi, sottolineando che i progetti attualmente in fase di proposta “avranno un impatto significativo sul miglioramento dei servizi forniti ai cittadini”. A fine ottobre 2023, il ministro libico “orientale” Al Sidi aveva dichiarato a “Radio France International” che “la Cina è oggi la potenza effettiva che potrebbe costruire ponti, infrastrutture e strade in brevissimo tempo”.

Secondo il ministro, la Cina starebbe finanziando in Libia un progetto da 30 miliardi di dollari (28 miliardi di euro) per costruire metropolitane proprio attraverso il consorzio Bfi. “In realtà si tratta di informazioni esclusive che nessuno conosce tranne il mio ministero e le parti coinvolte nell’accordo”, aveva aggiunto Al Sidi. Fonti libiche di “Agenzia Nova” a Tripoli, tuttavia, avevano riferito che all’epoca non risultavano avviati investimenti cinesi nel comparto delle infrastrutture libiche. Sarebbe sbagliato sottovalutare il ruolo che la Cina ha giocato e sta ancora giocando in Libia.

Prima della guerra civile del 2011, la cinese China National Petroleum Corp disponeva di una forza lavoro in Libia di ben 30 mila operai e tecnici cinesi, riuscendo ad incanalare oltre il 10 per cento delle esportazioni di greggio “dolce” libico. Ma è soprattutto nel settore delle infrastrutture, marchio di fabbrica dei progetti di Pechino “chiavi in mano”, che la Cina ha puntellato la sua presenza in Libia. Ai tempi dell’ex Jamahiriya del colonello Muammar Gheddafi, China Railway Group aveva avviato nell’ex Jamahiriya tre importanti progetti del valore totale di 4,24 miliardi di dollari. Il caos della guerra civile ha bloccato tutto, ma una possibile stabilizzazione (o partizione) del Paese potrebbe far ripartire i progetti.