Missione Atmis: per la seconda volta si chiede di prolungare i tempi del ritiro

Pubblicato da – Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 22/06/2024

Il governo della Somalia ha chiesto alle forze dell’Unione africana di stanza nel Paese di prolungare i tempi del loro ritiro, per far fronte a una situazione della sicurezza sul campo in continua evoluzione. Presenti sul territorio dal 2007, prima come Missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom), ora con l’acronimo Atmis (Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia) per accompagnare la transizione del Paese verso una maggiore stabilità politica e della sicurezza, le truppe dell’Ua stanno procedendo dal 2023 ad un graduale ritiro, con l’idea di trasferire a termine tutta la responsabilità logistica all’Esercito nazionale somalo (Sna).

Il processo ha finora permesso il ritiro dei primi 5 mila soldati sui 13.500 attualmente presenti nel Paese del Corno d’Africa, consentendo la riconsegna allo Sna di 13 basi militari e della gestione della sicurezza di alcuni luoghi strategici, come le sedi di presidenza e parlamento nella capitale Mogadiscio. Il nuovo passo prevedrebbe ora, nella terza fase del ritiro, il rientro a casa di altri 4 mila uomini entro fine giugno, ma secondo un ufficiale consultato da “Garowe online” la richiesta del governo somalo sarebbe di rallentare l’operazione per evitare di lasciare sguarnite porzioni di territorio facilmente attaccabili da al Shabaab. Mogadiscio chiede inoltre, riferisce la stessa fonte, di dimezzare gli uomini da ritirare entro fine mese e di mantenerne 2 mila in più fino a settembre.

Sebbene non ci sia ancora alcuna ufficialità, non sarebbe questa la prima volta in cui il governo somalo chiede all’Unione africana di rallentare il processo di ritiro. L’esecutivo di Mogadiscio ha chiesto e ottenuto di prolungare di sei mesi anche i tempi della prima fase del ritiro, come confermato a novembre scorso dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che con la sua risoluzione ha autorizzato a rimanere in Somalia un totale di 14.626 membri del personale in uniforme fino al 30 giugno prossimo ed a completare il ritiro di 4 mila dipendenti Atmis entro quest’ultima data. In seconda battuta, a marzo Mogadiscio ha inoltre ottenuto che Atmis invii una missione di follow-up in Somalia dopo la partenza di tutte le unità a dicembre.

Nel confermare la disponibilità di Atmis ad inviare questo supporto, il rappresentante speciale dell’Ua in Somalia Mohamed El-Amine Souef ha sotto-lineato come la richiesta somala evidenzi “la necessità di un continuo sostegno internazionale per stabilizzare la regione”. Sul fronte della sicurezza, la stabilità della Somalia è inevitabilmente collegata all’azione di al Shabaab. Se la poderosa offensiva lanciata dall’esercito dopo l’elezione del presidente Hassan Sheikh Mohamud, nel maggio del 2022, ha contribuito a riconquistare importanti porzioni di territorio, la capacità del gruppo jihadista di riorganizzarsi ed adattare la sua azione ad obiettivi civili e militari ne fa il più temibile avversario di un completo ritorno alla stabilità.Aquesto aspetto si è aggiunta anche la crisi in corso con la vicina Etiopia, Paese che offre un importante contributo di sicurezza alla Somalia nelle regioni di confine, e il cui eventuale ritiro dal territorio rischierebbe di incrinare il precario equilibrio di sicurezza faticosamente conquistato da Mogadiscio.

Quest’ipotesi è apparsa possibile a seguito delle polemiche sorte per il controverso memorandum d’intesa siglato nel gennaio scorso dal governo di Addis Abeba con le autorità del Somaliland, autoproclamata Repubblica non riconosciuta dal governo federale somalo, per ottenere un accesso al mar Rosso attraverso il porto di Berbera, in cambio del riconoscimento dell’autonomia di Hargheisa da parte dell’Etiopia. La firma dell’accordo ha provocato un’alzata di scudi da parte somala, con la minaccia di estromettere dal suo territorio le truppe etiopi presenti in Somalia sia nel quadro della missione Atmis sia di programmi bilaterali di difesa.

Una minaccia che rischia, di fatto, di ritorcersi contro gli stessi interessi di Mogadiscio, come sembrano aver capito gli Stati regionali maggiormente esposti agli attacchi di al Shabaab, come il Sudovest e l’Oltregiuba. Entrambe le amministrazioni regionali non hanno mancato di sottolineare i rischi di un ritiro anticipato delle truppe internazionali, la cui presenza è da loro ritenuta fondamentale nella guerra in corso contro al Shabaab, oltre che per la protezione delle principali città e vie di rifornimento. La stessa Mogadiscio, del resto, sta negoziando con i partner internazionali per istituire una forza multinazionale che opererebbe in Somalia per un anno a partire da gennaio del 2025. Alla forza parteciperebbero le truppe di Gibuti, Kenya, Uganda e Burundi.