IRAN, 61 MILIONI AL VOTO KHAMENEI INVITA ALLE URNE

Pubblicato da – Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 27/06/2024

Per la guida suprema, l’alta affluenza alle urne è necessaria “per avere la meglio sui nemici”

Oltre 61 milioni di cittadini aventi diritto al voto in Iran saranno chiamati a eleggere venerdì 28 giugno il successore del defunto presidente Ebrahim Raisi, morto in un incidente in elicottero lo scorso 19 maggio. I risultati del voto saranno determinanti per capire la posizione di Teheran nel contesto delle complesse dinamiche regionali, influenzate dalla guerra nella Striscia di Gaza e dall’escalation in corso tra Israele e il movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah. A pochi giorni dalle elezioni, la guida suprema della Repubblica islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, ha rivolto un appello per una forte partecipazione alle urne, sottolineando l’importanza di questa tornata elettorale.

I possibili scenari “sono tutti molto importanti e delicati, proprio per questo credo che ci sia un interesse condiviso a impedire che frange ultraconservatrici possano alterare un meccanismo di continuità che rappresenta l’unica garanzia per la Repubblica islamica di poter transitare a una nuova fase generazionale”, ha spiegato a “Nova” Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies (Igs).

A contendersi la carica di presidente dell’Iran ci sono sei candidati, di cui uno solo appartenente alla corrente “riformista”: Massoud Pezeshkian. Due candidati sono considerati “ultraconservatori”, Amirhossein Ghazizadeh Hashemi e Saeed Jalili, mentre i restanti tre “pragmatici”, Mohammad Bagher Ghalibaf, Mustafa Pourmohammadi e Alireza Zakani. Secondo gli analisti, la vera sfida si giocherà probabilmente tra Pezeshkian, Jalili e Ghalibaf, con quest’ultimo dato per favorito. La guida suprema, vero fulcro del potere iraniano, non ha espresso finora una preferenza per nessuno dei candidati. Durante un discorso televisivo, Khamenei ha affermato: “Chi pensa che non si possa fare nulla senza il favore degli Stati Uniti non riuscirà a gestire bene il Paese”, una probabile allusione all’atteggiamento di apertura del riformista Pezeshkian.

L’ayatollah ha inoltre evidenziato l’importanza della partecipazione elettorale, definendo l’alta affluenza alle urne “una delle ragioni per cui la Repubblica islamica ha avuto la meglio sui suoi nemici”.

“La forza dell’Iran non sta nel possedere una serie di missili, ma fondamentalmente nella partecipazione attiva dei suoi cittadini al processo elettorale”, ha aggiunto Khamenei.

La leadership iraniana teme infatti un altro scarso risultato, dopo che alle elezioni parlamentari di marzo si era registrata una percentuale record di astensione (59 per cento). Tale eventualità contribuirebbe a erodere ulteriormente la scarsa legittimità della teocrazia, indebolita dalle proteste scoppiate nel settembre 2022 dopo la morte della 22enne curda Jina Mahsa Amini, avvenuta in custodia della polizia morale.

A ciò si somma un contesto regionale sempre più preoccupante, dove la guerra nella Striscia di Gaza rischia di trascinare in un conflitto aperto con Israele anche il movimento sciita Hezbollah, da sempre alleato di Teheran, che potrebbe dover trovarsi a decidere se e in quale modalità intervenire. Resta poi aperta la questione del programma nucleare su cui Teheran ha lavorato negli ultimi anni, che costituisce la principale fonte di preoccupazione degli osservatori occidentali.

L’elezione del presidente della Repubblica non dovrebbe segnare un cambiamento nella politica nucleare (o nella politica estera) di Teheran, che rimane appannaggio della guida suprema, sebbene i candidati alle presidenziali di venerdì abbiano espresso varie posizioni in merito. In particolare, il riformista Pezeshkian, che ha ricevuto il sostegno di Mohammad Javad Zarif, ex ministro degli Esteri ai tempi del presidente Hassan Rohani, vorrebbe rinegoziare un accordo sul nucleare sulla base di quello raggiunto nel 2015 (da cui gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente nel 2018).

L’ultraconservatore Jalili continua invece a opporsi strenuamente alla discussione per raggiungere una nuova intesa, così come già in passato si era opposto in qualità di negoziatore di alto livello per il precedente accordo sul nucleare. Infine, Ghalibaf si è detto convinto sul fatto che proprio un aumento della capacità nucleare di Teheran sia la chiave vincente per costringere l’Occidente a negoziare.

Le autorità di Teheran, del resto, avrebbero già informato l’Agenzia internazionale per l’energia atomica di aver installato 1.400 centrifughe di ultima generazione nel sito atomico di Fordow: uno sviluppo capace di fornire al Paese, in tempi molto rapidi, uranio arricchito sufficiente alla costruzione di diverse testate atomiche. La realizzazione di un programma atomico militare, da parte iraniana, spingerebbe Turchia, Egitto e, molto probabilmente, anche l’Arabia Saudita a perseguire propri programmi atomici.