Pubblicato da – Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 13/09/2024
Pesa il conflitto in Medioriente
Le elezioni legislative del 10 settembre in Giordania si sono concluse con la vittoria del partito di opposizione islamista Fronte d’azione islamica (Jabhat al ‘Amal al Islami, Iaf), che tuttavia non è riuscito a ottenere la maggioranza. Secondo i risultati preliminari annunciati ieri dalla commissione elettorale, l’Iaf – braccio politico dei Fratelli musulmani – ha conquistato 31 dei 138 seggi del Parlamento, triplicando la sua rappresentanza rispetto alla legislatura precedente. Gli islamisti hanno elogiato le autorità per non aver interferito nelle votazioni, definendo la loro vittoria un “referendum popolare” a sostegno della loro piattaforma, che include la richiesta di abolire il trattato di pace con Israele. “Il risultato elettorale ottenuto dal Jabhat al ‘Amal al Islami è in primo luogo sintomatico dell’impatto che su queste elezioni ha avuto il contesto regionale e dunque la guerra tra Israele e Hamas”, commenta Roberta La Fortezza, analista d’Intelligence per la regione Mena e il Sahel. Secondo l’esperta, “il blocco legato all’islam politico è sostanzialmente riuscito a capitalizzare la rabbia popolare per la guerra che si sta combattendo nella Striscia di Gaza, e probabilmente ancor di più, quella che è derivata proprio nelle ultime settimane, dalle operazioni che Israele ha portato avanti in Cisgiordania”.
Il risultato segna un momento storico per gli islamisti in Giordania e costituisce la loro più ampia presenza in Parlamento dal 1989, quando vinsero 22 degli 80 seggi disponibili. Nel Parlamento eletto nel 2020, l’Iaf aveva ottenuto dieci seggi, mentre nel 2016 ne aveva conquistati 16. A questo proposito, La Fortezza ricorda che “queste elezioni sono state le prime dopo il lancio del piano di modernizzazione nel 2021, l’approvazione degli emendamenti costituzionali del 2022 e l’adozione di nuove leggi elettorali e sui partiti politici; tutte riforme volte a favorire una transizione del panorama istituzionale giordano da un modello basato su affiliazioni e alleanze tribali, verso un modello segnato da una maggiore centralità dei partiti politici”. Secondo l’analista, vanno infatti tenuti presenti i fattori interni che, insieme al contesto regionale, hanno favorito l’affermazione dell’Iaf.
“In primo luogo, il contesto di rinnovamento a favore di una de-tribalizzazione delle strutture istituzionali e di uno speculare rafforzamento del ruolo dei partiti, ha certamente favorito l’Iaf il quale, fin dalla sua fondazione, è stato guidato da una classe di professionisti della vita politica e si è perfettamente inserito nelle tradizionali logiche di partito”, spiega La Fortezza, aggiungendo che “molte delle formazioni che si sono presentate alle elezioni non presentano una strutturazione storica e in alcuni casi sono state improvvisate proprio in funzione anti-Islam politico”. In secondo luogo, ha aggiunto, la base sociale del partito islamista è “tradizionalmente solida”. Infine, “l’Iaf è probabilmente riuscito a capitalizzare anche il malcontento popolare nei confronti dell’uscente classe politica giordana, la quale non si è dimostrata capace di contrastare l’aumento delle criticità economiche”, dichiara l’esperta.
“Sebbene il re rimanga il decisore ultimo, il garante della stabilità istituzionale del Regno e del posizionamento regionale e internazionale della Giordania, la nuova centralità politica dell’Iaf potrebbe comportare un aumento delle tensioni interne alla vita politica giordana tra le fazioni afferenti all’islam politico e quelle contrapposte, e finanche spingere il Regno verso una politica di maggiore intransigenza nei confronti delle posizioni occidentali e di Israele”, conclude La Fortezza.