Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 21/09/2023
I colloqui sono stati programmati per la giornata di oggi tra Baku e gli armeni dell’Artsakh
Dopo ore di crescenti tensioni nel Nagorno-Karabakh e il rischio di un nuovo confronto militare su larga scala tra Azerbaigian e Armenia, oggi è stato raggiunto grazie alle forze di pace russe un accordo sulla cessazione delle ostilità che dovrebbe ripristinare la stabilità nella regione. Molto dipenderà dai negoziati che sono stati programmati per oggi tra Baku e gli armeni dell’Artsakh (l’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh). Nella giornata di ieri, l’Azerbaigian aveva avviato nella regione una “operazione antiterrorismo” contro le forze armene, accusate di portare avanti “continui attacchi e provocazioni”.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso, come riferito dalle autorità di Baku, è stata l’esplosione di due mine piazzate “dai gruppi armeni di ricognizione e sabotaggio” sulla strada Ahmadbayli-Fu- zuli-Shusha, che hanno colpito due mezzi azerbaigiani causando diversi morti e feriti, tra militari e civili. Baku ha così lanciato un bombardamento nella città di Stepanakert, capitale dell’autoproclamata repubblica, che secondo Erevan ha provocato la morte di oltre 30 vittime e il ferimento di più di 200 persone, nonché la fuga di un gran numero di persone verso l’aeroporto. L’obiettivo di Baku, ha accusato il ministero degli Esteri armeno, è quello di “completare la politica di pulizia etnica”. Il ministero della Difesa azerbaigiano ha riferito che più di 90 postazioni di combattimento e posizioni strategicamente importanti delle forze armate armene sono state neutralizzate durante le sue misure “antiterrorismo”. L’accordo sul cessate il fuoco è poi arrivato solo a seguito delle garanzie che Baku ha reso noto di aver ricevuto sul disarmo delle “forze illegali” di Erevan nel Nagorno-Karabakh. “La loro presenza era inaccettabile. L’Azerbaigian ha ricevuto garanzie sul fatto che i gruppi militari armeni il- legali saranno disarmati e che le attrezzature militari saranno trasferite a Baku”, ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa l’assistente presidenziale azerbaigiano, Hikmet Hajiyev.
L’accordo sulla cessazione delle ostilità è stato raggiunto con la mediazione del comando delle forze di pace russe dislocate nella regione da ormai circa tre anni. Ma gli sviluppi della situazione, ora che il timore di una nuova guerra nel Caucaso meridionale è apparentemente rientrato, saranno più chiari soltanto dopo i negoziati tra le parti che prenderanno il via domani. L’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, territorio a maggioranza etnica armena con una popolazione di circa 120 mila persone, è riconosciuto solo da tre Paesi non riconosciuti dall’Onu. Secondo le Nazioni Unite, la regione è di fatto ancora appartenente all’Azerbaigian. L’inizio dei dissapori tra Baku ed Erevan risale agli anni Novanta. Dopo la dissoluzione dell’Urss, nel 1991 tra i due Paesi scoppiò una guerra che causò almeno 30 mila morti. Il conflitto terminò poi tre anni dopo, con la mediazione della Russia e dell’Osce, e con l’autoproclamazione di un governo autonomo nel Nagorno-Karabakh.
Con il passare del tempo, la tensione tra Azerbaigian e Armenia non è tuttavia mai mancata, fino al riarmo di Baku, che nel settembre del 2020 ha lanciato una nuova guerra. Il conflitto, terminato dopo circa 40 giorni grazie a una nuova mediazione della Russia, ha portato l’Azerbaigian a ottenere oltre 100 chilometri quadrati di territorio armeno nel Nagorno-Karabakh. Il territorio dell’enclave è interamente circondato dall’Azerbaigian, eccezion fatta per lo stretto collegamento del corridoio di Lachin che lo unisce all’Armenia, e che si trova sotto la vigilanza delle forze di peacekeeping russe che si sono stabilite nel 2020 dopo la fine delle ostilità. È quindi proprio la Russia, per la sua storia e la sua posizione geografica, ad aver giocato un ruolo decisivo nel tentativo di stabilizzazione dei rapporti tra Erevan e Baku. Mosca è sempre stata in particolare al fianco degli armeni, di religione cristiana, mentre a sostenere gli azerbaigiani è soprattutto la Turchia, Paese musulmano più affine sia da un punto di vista culturale che linguistico. Ma la guerra in Ucraina ha rimescolato le carte. Nell’ultimo anno Mosca ha progressivamente trascurato la crisi umanitaria nel corridoio di Lachin, essenziale per il rifornimento di beni, il cui accesso è stato bloccato dalle autorità di Baku per contrastare, a sua detta, operazioni minerarie non autorizzate e il traffico clandestino di armi. In questa situazione, dove le forze di mantenimento della pace russe non sono riuscite a imporsi, Erevan ha iniziato a riconsiderare la propria dipendenza dalla Russia in materia di sicurezza e a valutare un possibile avvicinamento agli Stati Uniti. E a dimostrarlo è la prima esercitazione militare congiunta tra Usa e Armenia, che è stata avviata nei giorni scorsi.
La Russia osserva con attenzione questo sviluppo, e non si può escluderne un ruolo nelle proteste avvenute ieri contro il premier armeno Nikol Pashinyan. Mosca, peraltro, ha subito di fatto le prime perdite fra i suoi militari a causa di un agguato subito da un’autovettura delle forze di pace avvenuta oggi a Canyatag, come riferito dal ministero della Difesa. La situazione, di fatto, si è fatta sempre più complessa per la Russia che è stata costretta a prendere un’iniziativa concreta come quella odierna per porre fine alle ostilità ed evitare un ulteriore aumento della tensione. L’interesse di Washington per la regione del Caucaso meridionale è stato poi confermato dai colloqui che il Segretario di Stato Antony Blinken ha tenuto, a seguito dell’operazione “antiterrorismo” di Baku, sia con il premier armeno Nikol Pashinyan che con il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev. Evidenziando il sostegno “all’indipendenza e integrità territoriale dell’Armenia”, Blinken ha evidenziato la necessità di un “dialogo diretto” tra l’Azerbaigian e i rappresentanti armeni residenti nella regione del Nagorno-Karabakh. Un concetto che ha ribadito anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani agli omologhi di Baku ed Erevan, rispettivamente Jeyhun Bayramov e Ararat Mirzoyan, a margine della settimana di alto livello della 78ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York. “È necessario ritornare a un dialogo costruttivo per trovare una soluzione diplomatica in Nagorno-Kara- bakh. L’ho detto chiaramente ai ministri Bayramov e Mirzoyan, a cui ho offerto la mediazione di Roma”, ha poi spiegato Tajani.
Gli appelli per trovare una soluzione diplomatica non sono mancati neanche dalle istituzioni europee e dalla Santa sede. In generale, l’auspicio della comunità internazionale è quello di evitare una nuova guerra nella regione, dopo quella che va ormai già avanti da oltre un anno in Ucraina, che andrebbe a mettere ulteriormente gli equilibri nella scacchiera geopolitica. Intanto, secondo l’assistente presidenziale azerbaigiano Hikmet Hajiyev, il 70 per cento del progetto di accordo di pace tra Baku ed Erevan sarebbe già stato concordato.