Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 28/09/2023
DOPO IL COLPO DI STATO DI LUGLIO
Il colpo di Stato in Niger dello scorso 26 luglio rischia di assestare un colpo mortale agli interessi energetici francesi, in particolare per quanto riguarda le importazioni di uranio. Se le autorità salite al potere con il golpe non hanno finora annunciato alcuna misura al riguardo, un segnale d’allarme per Parigi è arrivato dalla società civile. Il Movimento 62 (M62) – la principale piattaforma del Paese – ha infatti chiesto la revoca della licenza mineraria al gruppo francese Orano (ex Areva), presente in Niger da oltre 50 anni, per operare nel sito di Imouraren, un deposito di uranio situato nella regione dell’Arlit, nel nord-ovest del Paese. Il movimento ha affermato che lo sfruttamento dell’uranio del Niger non è sufficientemente vantaggioso per la popolazione nigerina e che il permesso di esercizio del sito di Imouraren è detenuto “illegalmente” da parte di Orano.
“Chiediamo il ritiro del permesso di esercizio di Imouraren, che è detenuto illegalmente da Orano, in conformità con la legge mineraria del Niger che impone il rispetto degli obblighi in termini di responsabilità sociale delle imprese”, ha affermato il coordinatore dell’M62, Abdoulaye Seydou, nel corso di una conferenza stampa.
La società francese Orano ha ottenuto il permesso di esercizio per il giacimento di Imouraren nel 2009. Nel maggio scorso, cioè prima del golpe che ha portato al potere la giunta guidata dal generale Omar Tchiani, Orano ha siglato un accordo con il ministero delle Miniere per rilanciare il progetto. Oltre al progetto Imouraren (detenuto al 66,6 per cento da Orano e al 33,3 per cento dallo Stato del Niger attraverso la controllata Sopamin), l’accordo prevede anche il proseguimento dell’attività del sito di Somair (operato per il 63,4 per cento da Ora- no e per il 36,66 per cento dallo Stato del Niger, attraverso la controllata Sopamin), la bonifica della miniera di Cominak e l’impegno sociale di Orano in Niger.
L’accordo – che ora la giunta potrebbe decidere di far saltare – conferma che Orano “porterà avanti la ricerca di opzioni future” per l’estrazione del giaci- mento di Imouraren, per il quale è stata elaborata una tabella di marcia con un budget di investimento di 85 milioni di euro per dimostrare l’applicabilità tecnica, ambientale ed economica del progetto. La joint venture Imouraren Sa ha già annunciato l’in- tenzione di avviare un programma pilota per studiare l’utilizzo della tecnica della lisciviazione in sito (Isl), con l’obiettivo di prendere una decisione di in- vestimento nel 2028 se la fattibilità sarà confermata.
L’accordo prevede anche che il sito di Somair, operativo dal 1971, potrà continuare a operare fino al 2040, 11 anni oltre la chiusura attualmente previ- sta. Nell’ambito dell’accordo, Orano si è impegnata inoltre a investire 40 milioni di euro in progetti sociali, da realizzare entro il 2030. Questi si concentreranno su tre aree: miglioramento delle competenze; opportunità di istruzione per le ragazze; e lo sviluppo economico nel settore dell’energia. Tutta- via, dopo il colpo di Stato di fine luglio, i problemi per Orano in Niger non sono certo mancati. Lo scorso 8 settembre la compagnia francese ha infatti an- nunciato la sospensione delle attività a causa della riduzione delle scorte di prodotti chimici dovuta alla chiusura della frontiera terrestre del Niger con il Benin, da dove vengono normalmente esportate circa 2 mila tonnellate di produzione annuale di uranio verso la Francia e il Canada.
Primo fornitore di uranio dell’Ue, assicurando il 24 per cento del fabbisogno comunitario, con 17.615 tonnellate esportate nel 2022 il Niger è il secondo fornitore della Francia dopo il Kazakhstan (23.822), davanti a Uzbekistan (16.792), Australia (12.349) e Namibia (12.303). Dati alla mano, negli ultimi dieci anni le 88.200 tonnellate di uranio naturale importate in Francia provenivano principalmente da tre Paesi: Kazakhstan (27 per cento), Niger (20 per cento) e Uzbekistan (19 per cento). Su scala globale, tuttavia, il Niger è diventato negli an- ni un produttore secondario, a causa degli elevati costi di produzione. Pertanto, nel 2022, il Niger rap- presentava solo il 4 per cento della produzione mondiale di uranio, molto indietro rispetto al Kazakistan (43 per cento), al Canada (15 per cento), alla Namibia (11 per cento) e all’Australia (8 per cento).