Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 20/09/2023
L’Italia rilancia il suo impegno in favore della stabilizzazione e lo sviluppo del Corno d’Africa, nel quadro di un approccio collaborativo e non predatorio di cooperazione che troverà pieno compimento nel già annunciato “Piano Mattei” per l’Africa. È in quest’ottica che il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha riunito gli omologhi di Eritrea, Etiopia e Somalia, rispettivamente Osman Saleh, Demeke Mekonnen e Abshir Omar Jama, a margine dei lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso questa settimana a New York. Nel corso della riunione, il vicepremier ha rimarcato il ruolo strategico della partnership tra Italia e Paesi del Corno d’Africa, “legati da profondi vincoli storici e culturali”, e ha illustrato le prospettive di cooperazione regionale, sia in chiave economica, sia, soprattutto, in chiave di stabilizzazione regionale. La stabilità regionale, insieme agli investimenti e alla creazione di occupazione, è infatti condizione irrinunciabile per la riduzione dei flussi migratori verso l’Italia e verso l’Europa. “Il nostro governo è fortemente impegnato a sostenere misure concrete per la crescita e lo sviluppo del Mediterraneo allargato e dell’Africa e affrontare così le cause profonde dei flussi irregolari, controllati da trafficanti di esseri umani senza scrupoli”, ha osservato Tajani nel corso del colloquio.
Un impegno che l’Italia ha ribadito lo scorso luglio in occasione della Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni, organizzata alla Farnesina su iniziativa del presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, insieme ai leader degli Stati della sponda Sud del Mediterraneo allargato, del Medio Oriente e del Golfo, gli Stati Ue di primo approdo e alcuni partner del Sahel e del Corno d’Africa. Il vicepremier ha inoltre espresso il grande interesse dell’Italia al rafforzamento della cooperazione economica con i tre Paesi, in virtù della loro rilevanza strategica della regione. Nel periodo 2020-2022, ha sottolineato, il nostro interscambio con l’area ha superato stabilmente i 300 milioni di euro, mentre i dati relativi al primo semestre del 2023 testimoniano una crescita del 23 per cento rispetto all’anno precedente. Al fine di mantenere carattere prioritario al coordinamento tra Italia, Eritrea, Etiopia e Somalia, Tajani ha quindi proposto di tenere riunioni a cadenza annuale in formato quadrilaterale. L’avvio di un meccanismo di consultazioni permanente consentirà di moltiplicare le opportunità di crescita e investi- mento, anche con riguardo ai settori dell’educazione e della formazione e del contrasto ai flussi migratori irregolari. Il vicepremier ha infine sottolineato la forte attenzione che, nel 2024, la presidenza italiana del G7 riserverà al continente africano e, in particolare, al Corno d’Africa. Tajani ha infine consegnato ai tre colleghi africani gli inviti rivolti al presidente eritreo Afewerki, al presidente somalo Hassan Sheikh e al premier etiope Abiy a partecipare al prossimo vertice Italia-Africa in programma il 5 e il 6 novembre prossimi a Roma. Tale appuntamento consentirà di rafforzare i partenariati paritari e solidali con i Paesi africani sulla base del “Piano Mattei”, che sarà presentato durante il vertice.
La riunione conferma una volta di più l’intenzione del governo italiano di giocare un ruolo da protagonista in una regione strategica come il Corno d’Africa, peraltro fortemente legata all’Italia per ragioni storiche e culturali. Già a fine luglio, a margine del Vertice sui Sistemi alimentari ospitato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) a Roma, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva incontrato il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali, il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, il primo ministro gibutino Abdoul- kader Kamil Mohamed, e il vicepresidente keniota Rigathi Gachagua. In precedenza, la stessa premier aveva avuto vari incontri bilaterali sia con il primo ministro etiope Ahmed – ricevuto a Roma nel febbraio scorso e incontrato nuovamente ad Addis Abeba nel mese di aprile, oltre che in diverse altre occasioni a margine dei consessi internazionali – che con il presidente somalo Mohamud, ospitato a Roma in più di un’occasione. Vale inoltre la pena di ricordare che nel maggio scorso l’Italia, insieme ai governi di Qatar, Stati Uniti e Regno Unito, ha organizzato a New York la Conferenza umanitaria sul Corno d’Africa.
Con l’entrata in carica del governo guidato da Giorgia Meloni la regione dell’Africa orientale, dove la presenza italiana è andata scemando sensibilmente negli ultimi anni, sembra nuovamente attirare l’attenzione del nostro Paese, che intende giocarvi un ruolo propositivo nella convinzione che dialogo e investimenti siano le strade maestre da seguire non solo per risolvere il tema dell’immigrazione clandestina in Europa, ma più in generale per rafforzare il legame con Paesi che cercano interlocutori in Italia e nell’Unione europea. Dopo anni di sostanziale oblio, l’impressione è che l’Italia stia tentando di recuperare il terreno perduto in una regione strategicamente importante essendo situata all’incrocio di rotte commerciali, ma anche vulnerabile alla concorrenza politica e militare. La sua posizione geografica è di importanza strategica per la sicurezza non solo dei Paesi vicini, ma anche europei. Tuttavia, la regione è minacciata da una costante insicurezza e instabilità, essendo un terreno fertile per l’estremismo e gli attacchi terroristici. L’impegno dell’Italia nel cosiddetto “Mediterraneo allargato” – in cui si può in qualche modo includere la regione del Corno d’Africa – deve affrontare la crescente concorrenza di Paesi come Cina, Russia, India e Turchia. Il nuovo “grande gioco” dell’Africa è ora tra queste potenze nel Corno d’Africa. Inoltre, le monarchie del Golfo hanno una presenza pervasiva nella regione a causa della loro vicinanza geografica e, negli ultimi anni, delle ricadute regionali della concorrenza saudita-iraniana. Da parte sua, l’Italia ha la possibilità di influenzare le relazioni con i suoi partner africani attraverso la cooperazione e il trasferimento di know-how su tecnologia, approvvigionamento energetico e infrastrutture. In tale prospettiva, il ruolo dell’Italia potrebbe risultare fondamentale an- che attraverso una tradizionale azione basata sulla formazione delle forze di sicurezza e il rafforzamento delle istituzioni africane.
Mai come negli ultimi anni, del resto, la regione del Corno d’Africa è afflitta da un micidiale mix di instabilità, guerre interne e prolungati periodi di siccità e carestia che hanno innescato una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi decenni. Per salvare vite tra le comunità colpite e finanziare i piani di risposta umanitaria per il Corno d’Africa, l’Onu stima necessari circa 7 miliardi di dollari nel 2023. Il Corno d’Africa sta infatti vivendo la sua siccità più grave e prolungata decenni, con oltre 43 milioni di persone bisognose di assistenza per il sostentamento vitale, di cui 28,6 milioni in Etiopia, 6,4 milioni in Kenya e 8,2 milioni in Somalia. Secondo quanto affermato dall’Ufficio Onu per gli affari umanitari (Ocha), le recenti forti precipitazioni di maggio non hanno migliorato la situazione, provocando inondazioni improvvise e la perdita di case e bestiame in aree già colpite dalla siccità. La fame e l’insicurezza alimentare destano particolare preoccupazione e si stima che oltre 23,5 milioni di persone siano afflitti da alti livelli di insicurezza alimentare acuta in Etiopia, Kenya e Somalia. Inoltre, circa 13,2 milioni di capi di bestiame sono morti dall’inizio della siccità (6,8 milioni in Etiopia, oltre 3,8 milioni in Somalia e 2,6 milioni in Kenya), erodendo la principale fonte di sostentamento, reddito e nutrimento per le comunità locali. L’insicurezza idrica sta inoltre causando un aumento delle malattie e della protezione rischi, aggravando ulteriormente la situazione, con casi di colera più elevati rispetto agli ultimi anni, mentre anche i casi di morbillo sono aumentati, in particolare tra i bambini. I ricorrenti shock climatici, la diffusa insicurezza alimentare e la riduzione dei mezzi di sussistenza l’accesso sono esacerbati dal conflitto persi- stente e dal conseguente sfollamento, contribuendo ad aumentare i bisogni umanitari della popolazione.