Egitto: Emirati e l’Fmi intervengono per salvare il Paese dalla bancarotta

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 28/02/2024

È stato annunciato un investimento iniziale di 35 miliardi di dollari nella città egiziana di Ras el Hekma

Gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato un investimento iniziale di 35 miliardi di dollari nella città egiziana di Ras el Hekma, sul Mar Mediterraneo, dando respiro alle casse dello Stato del Paese arabo più popoloso, con oltre 106 milioni di abitanti. Uno Stato circondato da zone di tensione a ovest (la Libia), a sud (il Sudan), ma soprattutto a nord-est (nella Striscia di Gaza), che necessità del sostegno internazionale per evitare di sprofondare nella crisi economica e sociale. L’afflusso di dollari da parte degli Emirati consentirà alle autorità del Cairo di avere maggiore leva negoziale con il Fondo monetario internazionale (Fmi) per l’erogazione di un prestito che potrebbe toccare addirittura i 10 miliardi di dollari, quasi il triplo del valore pattuito a fine 2022.

Parallelamente, l’Egitto dovrebbe rendere flessibile il tasso di cambio della sterlina egiziana per sbloccare le maxi-rate dell’Fmi. Tuttavia, il mutato contesto regionale – ovvero la guerra nella Striscia di Gaza, con la non remota possibilità che parte degli sfollati palestinesi possa riversarsi in Egitto, e la minaccia al transito nel Mar Rosso da parte dei ribelli sciiti filo-iraniani yemeniti Houthi e il conseguente dimezzamento delle entrate del Canale di Suez – potrebbe portare l’Fmi a limare le proprie richieste per evitare il fallimento del Paese delle piramidi. A dare man forte al sostegno degli Emirati e dell’Fmi potrebbe giungere anche l’Arabia Saudita, che potrebbe avviare lo sviluppo di una zona turistica a Ras Gamila, sul Mar Rosso. “Agenzia Nova” ha parlato di questi recenti sviluppi con l’analista Roberta La Fortezza. L’Egitto starebbe dunque negoziando con l’Fmi un prestito da 10 miliardi di dollari, un considerevole aumento rispetto all’accordo da 3 miliardi in 46 mesi siglato tra le parti a fine 2022 nell’ambi – to dell’Extended Fund Facility (Eff). “Nonostante le numerose voci ottimiste in merito a tali negoziati, per ora non si è arrivati ad alcun accordo concreto in tal senso tra il Paese nordafricano e l’istituzione finanziaria internazionale”, ha dichiarato ad “Agenzia Nova” l’analista Roberta La Fortezza. Già per l’accordo del 2022 le riserve valutarie, insieme ad altri, erano state considerate come parametro fondante di quell’accordo per la concessione del prestito. “L’Egitto, tuttavia, in materia di riserve di valuta estera, così come anche in riferimento ad altri parametri, non è riuscito in questi anni a raggiungere quanto richiesto dall’Fmi e, anzi, al contrario è proseguita incessante l’erosione delle riserve valutarie detenute dalla Banca centrale egiziana”, spiega l’esperta.

L’investimento emiratino da 35 miliardi di dollari per l’acquisto di terreni nella località mediterranea di Ras el Hekma e per la realizzazione di un mega progetto immobiliare e infrastrutturale, “renderà disponibile per l’Egitto una grande quantità di dollari statunitensi da poter utilizzare per far fronte ai pagamenti in dollari e per aumentare le riserve in valuta estera”, ha chiarito La Fortezza. In questo senso, ha proseguito l’esperta, l’intervento del fondo sovrano di Abu Dhabi “potrebbe dare al Cairo una carta in più da giocare in sede negoziale con Il Mondo che cambia l’Fmi, garantendo una maggiore stabilità del parametro relativo alle riserve valutarie, che, come detto, rappresenta uno dei punti fondamentali per l’accordo con l’istituzione finanziaria internazionale”. Tuttavia, avverte La Fortezza, “questo da solo non consentirà di ottenere il prestito citato, ma sicuramente potrà aiutare a migliorare la situazione economico-finanziaria dell’Egitto”. Un altro dei parametri richiesti dal Fondo monetario internazionale per sbloccare il prestito è il passaggio al tasso di cambio flessibile della sterlina egiziana. L’adozione di un regime di cambio totalmente flessibile da parte dell’Egitto “è un altro dei punti principali dell’accordo del 2022 siglato con l’Fmi. In generale, l’approccio dell’Fmi è in linea con le classiche teorie macroeconomiche per cui il libero fluttuare del tasso di cambio, e dunque la definizione dello stesso sulla base del mercato e non di scelte di politica monetaria, funge nel lungo periodo da antidoto contro gli shock finanziari, in particolare quelli inflazionistici, e consente in definitiva una maggiore stabilità macroeconomica e conseguentemente anche sociale e politica”, ha evidenziato l’analista.

Gli Stati spesso utilizzano il tasso di cambio e in generale le politiche monetarie per poter arginare quantomeno temporaneamente alcuni squilibri macroeconomici, attuando però in questo modo politiche che spesso si dimostrano estremamente distorsive nel lungo periodo. Al riguardo, La Fortezza ha ricordato che “dopo aver adottato per un certo periodo un regime di cambi flessibili, proprio per favorire i negoziati con l’Fmi nel corso del 2022, la Banca Centrale egiziana è tornata a seguire un regime di cambio pressoché fisso. Finora, dunque, l’Egitto non ha implementato quanto concordato con per l’accordo da 3 miliardi di dollari e in particolare non ha portato avanti proprio quelle riforme relative al passaggio al tasso di cambio totalmente flessibile della sterlina, così come richieste dall’Fmi”.

La situazione economica attuale dell’Egitto è dovuta a una serie di fattori esogeni ed endogeni. Da un lato hanno pesato sulle casse dello Stato la crisi del Covid-19 dal 2020, la guerra in Ucraina dal 2022, e la più recente guerra nella Striscia di Gaza con l’effetto a catena alimentato dalla tensione dei gruppi legati all’Iran, tra cui gli yemeniti Houthi che continuano a minacciare il transito lungo il Mar Rosso e il Canale di Suez. Dall’altro, l’accentramento nelle mani dell’apparato militare delle industrie strategiche dell’Egitto – finora tenute lontane dalle riforme richieste dall’Fmi – ha contribuito a generare carenza di valuta estera, inflazione e aumento del debito pubblico. Al riguardo, La Fortezza ha evidenziato che i prestiti sono evidentemente vincolati a una serie di riforme che il Fondo reputa necessarie per poter assicurare un’economia più sana e meno predisposta agli shock.

“Tuttavia, proprio come dimostra il caso dell’Egitto, non è detto che queste riforme, seppur promesse dallo Stato finanziato, vengano poi effettivamente e correttamente implementate. Resta quindi la possibilità in capo all’Fmi di non erogare il prestito pattuito in mancanza delle riforme a cui lo stato si è vincolato: esattamente quanto accaduto con la seconda tranche del pacchetto di aiuti accordato all’Egitto”, ha evidenziato La Fortezza. L’esperta ha poi aggiunto che “il contesto regionale è molto cambiato rispetto al dicembre 2022 e al marzo del 2023, quando la seconda tranche doveva essere erogata. Lo scoppio del conflitto tra Israele e Hamas e la generale crisi regionale determinatasi anche in ragione delle operazioni dei ribelli sciiti yemeniti Houthi nelle acque del Mar Rosso ha dato oggi all’Egitto una carta in più da giocare nei suoi negoziati con l’Fmi. Molto probabilmente l’accordo che il Paese nordafricano e l’istituzione finanziaria stanno in questi giorni negoziando per un ulteriore prestito sarà molto meno pressante dal punto di vista delle riforme che l’Egitto dovrà necessariamente implementare per l’effettiva erogazione del prestito”. La logica perseguita dal Fondo monetario “è oggi quella del ‘too big to fail’: la stabilità economica dell’Egitto, indissolubilmente legata anche a quella sociale e politica, appare oggi infatti estremamente più importante rispetto a quanto già non lo fosse fino a ottobre 2023.