Energia, fumata nera nei negoziati tra Iraq e Turchia per il petrolio curdo

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 25/08/2023

Si sono concluse ieri le visite a Baghdad ed Erbil dei ministri degli Esteri e dell’Energia turchi, rispettivamente Hakan Fidan e Alparslan Bayraktar, senza alcun accordo sulla ripresa delle esportazioni di petrolio attraverso il porto di Ceyhan, nel Mediterraneo. Il risultato dei negoziati tra Iraq e Turchia ha prodotto una fumata nera, anche se è stata ribadita la necessità e l’importanza di riavviare l’export. Il dossier energetico riguarda a ben vedere anche l’Italia, che aveva puntato sul petrolio curdo (pari al 12,5 per cento delle importazioni lo scorso mese di gennaio) per sostituire le forniture russe. Durante gli incontri con le massime autorità di Baghdad ed Erbil, Fidan ha discusso di relazioni bilaterali, gestione delle risorse idriche, lotta al terrorismo e maggiore cooperazione economica. Riguardo alla gestione delle risorse idriche, il premier iracheno, Muhammad Shia al Sudan, ha sollecitato l’urgenza di aumentare la portata di acqua del fiume Eufrate, elogiando la decisione di Ankara di incrementare il flusso del fiume Tigri.

A Erbil, Fidan ha sollecitato la ripresa del flusso di petrolio dal Kurdistan, invece, oltre alla collaborazione nella lotta al terrorismo, che per Ankara si estrinseca nelle operazioni contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan iracheno (Pkk). Tra l’altro, proprio mentre il capo della diplomazia turca si trovava in Iraq sono stati uccisi tre “terroristi” del Pkk in un’operazione nel nord dell’Iraq. Oltre alla portata dei fiumi, la Turchia detiene altre leve negoziali. Circa il 70 per cento delle entrate doganali irachene proviene dalle importazioni attraverso il confine di Ibrahim Khalil con la Turchia. Inoltre, l’accordo per l’esportazione del petrolio di Kirkuk scadrà nel luglio 2026, consentendo alla Turchia di cercare condizioni più favorevoli. La riapertura dell’oleodotto Iraq-Turchia, in conclusione, è fondamentale per l’economia irachena, ma la decisione è complicata da questioni politiche, economiche e di sicurezza. Ankara aveva chiuso l’oleodotto Iraq-Turchia il 25 marzo 2023, dopo che la Corte arbitrale internazionale (Icc) si era pronunciata a favore dell’Iraq in una denuncia presentata da Baghdad contro la Turchia, accusata di aver facilitato l’esportazione “illegale” di petrolio da parte della Regione autonoma del Kurdistan iracheno tra il 2014 e il 2018.

Fonti turche riferiscono che la chiusura dell’oleodotto è dovuta a una presunta impossibilità fisica di accogliere il flusso di petrolio, mentre i serbatoi di stoccaggio nel porto di Ceyhan necessiterebbero di ispezioni derivanti da eventuali danni causati dal terremoto dello scorso febbraio. E’ assai probabile che la riluttanza della Turchia a riaprire l’oleodotto derivi, invece, dal rifiuto di Baghdad di rinunciare alla multa di 1,5 miliardi di dollari decisa dalla Corte penale internazionale e di archiviare un secondo caso arbitrale relativo alle vendite petrolifere del Kurdistan iracheno tra il 2018 e il 2022. Fonti vicine ai negoziati riferiscono al portale web con sede a Washington “Al Monitor” che Baghdad ha chiesto ad Ankara una maggiore portata d’acqua nei fiumi Eufrate e Tigri, che provengono dalla Turchia. L’oleodotto Iraq-Turchia trasporta fino a 450 mila barili di greggio al giorno, la maggior parte proveniente dai giacimenti curdi iracheni. Da più di un mese, il governo federale di Baghdad ha reindirizzato la sua quota di petrolio – circa 80.000-100.000 barili al giorno provenienti da Kirkuk – verso le raffinerie di Salah al Din, che si trovano nel sud.

Di conseguenza, il governo federale non viene toccato finanziariamente dalla controversia con Ankara. È infatti Erbil a essere la più colpita, perdendo circa 700 milioni di dollari al mese a causa dello stop nelle esportazioni. A peggiorare le cose, vi è la decisione di Baghdad di non sborsare il miliardo di dollari stanziato per il Kurdistan nel suo nuovo budget, assegnando invece solo 400 milioni di dollari. Baghdad chiede che Erbil consegni tutte le tasse, i servizi pubblici e le entrate doganali prima di erogare l’intera quota del bilancio. Secondo “Al Monitor”, c’è lo zampino dell’Iran – che esercita una forte influenza sul governo di Al Sudani – sul mancato accordo tra Baghdad e Ankara. Teheran starebbe cercando di “strangolare” il Kurdistan iracheno, che ospita gruppi di opposizione curdi iraniani, chiedendo che questi ultimi siano neutralizzati. Allo stesso tempo, l’Iran starebbe cercando di intaccare le relazioni strategiche di Erbil con Ankara che risalgono ai primi anni ’90, quando la coalizione guidata dagli Stati Uniti gestiva una nofly zone sul Kurdistan iracheno dalla base aerea di Incirlik, nel sud della Turchia.

Da allora questi legami si sono approfonditi fino a diventare un’alleanza militare ed economica strategica, rendendo Ankara il principale partner commerciale di Erbil e il suo principale partner per la sicurezza insieme agli Stati Uniti. La Turchia ha schierato migliaia di truppe in tutto il Kurdistan iracheno, teoricamente per combattere il Pkk. Per i curdi iracheni, i turchi servono da “cuscinetto” contro una potenziale invasione dell’Iran. Baghdad chiede da tempo il ritiro delle forze della Turchia, appelli che diventano sempre più forti ogni volta che i civili iracheni, per lo più curdi, muoiono negli attacchi aerei turchi. L’Iraq è poi particolarmente irritato dalla presenza di diverse migliaia di soldati turchi a Bashiqa, vicino a Mosul, che è sotto il controllo del governo federale, ed è ipotizzabile una richiesta di ritiro nell’ambito dei colloqui sul petrolio. Vale la pena ricordare che le forze turche a Bashiqa sono state più volte attaccate dalle milizie scii- te appoggiate dall’Iran, l’ultima volta a febbraio scorso. Da parte loro, i curdi faranno pressioni su Fidan per convincere la Turchia a riprendere il flusso di petrolio, indipendente- mente dal fatto che raggiunga o meno un accordo con Baghdad.

I ricavi delle vendite di petrolio sono fondamentali per pagare gli stipendi del settore pubblico per una spesa totale di circa 600 milioni di dollari al mese. I pagamenti ritardano da due mesi a causa della mancanza di fondi. Nel 2013, la Turchia aveva firmato un accordo energetico di 50 anni con Erbil che ha posto le basi per le vendite di petrolio curdo attraverso un oleodotto apposita- mente costruito che collega i giacimenti curdi al porto di Ceyhan. La chiusura della condotta, sostengono alcuni funzionari iracheni, viola tale accordo. Un numero crescente di curdi iracheni sta cominciando a mettere in discussione le motivazioni di Ankara: alcuni sostengono la necessità di esportare il proprio petrolio attraverso rotte diverse, compreso il porto iracheno di Bassora, per ridurre la dipendenza dalla Turchia. Il viaggio di Fidan è servito senz’altro anche a gettare le basi per una visita ufficiale del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, per ricambiare il primo viaggio del premier Al Sudani ad Ankara a marzo scorso.