Pubblicato da Quotidianodelsud.it – 17/03/2023
Di fronte al rischio di rimanere schiacciati fra le nuove tensioni, sia militari che economiche, fra Occidente ed Oriente, la via europea di ritrovare una strada verso il Sud del Mondo richiede una strategia di lungo periodo ed una visione che individui nella formazione delle classi dirigenti – in particolare africane – l’elemento base per una nuova politica comune. Molti temi e tutti fra loro strettamente intrecciati si affollano sul nostro tavolo in questi giorni di Quaresima. Innanzitutto la guerra. Il conflitto in Ucraina ha cambiato la posizione dell’Europa. Certamente in questi anni la guerra è sempre stata presente sui nostri schermi, ma sempre ben inscatolata in una rubrica che parlava di Orienti lontani, anche se a noi vicini. Quando l’aviazione russa asfaltava letteralmente Aleppo, nel feroce assedio della città, la tendenza era a derubricare quell’episodio all’interno dell’infinita guerra civile siriana fra truppe governative e ribelli curdi.
La guerra di Ucraina cambia le prospettive perché pone immediatamente i cosiddetti “paesi di nuova adesione”, che altro non sono che i Paesi del Patto di Varsavia, direttamente a contatto con il conflitto, un conflitto non previsto dall’asse franco-tedesco che aveva guidato la fase successiva al dissolvimento dell’Unione sovietica, tanto che la nuova Germania unificata si era legata mani e piedi alla Russia tramite i gasdotti che alimentavano tutta Europa. Di colpo la spinta tedesca verso oriente si ritrova nelle retrovie di un conflitto che vede fra l’altro la Polonia, riarmata direttamente dagli Stati Uniti, a diretto confronto con la Bielorussia, antemurale della stessa armata russa.
Di fronte a questa situazione di stallo fu l’intervento deciso di Mario Draghi che, portando i leader tedesco e francese con sé su quel treno per Kiev, dimostrò che l’Europa poteva e doveva intervenire decisamente schierandosi compatta contro l’invasione russa dell’Ucraina e quindi dare uno stop ad una avventura che poteva uscire da ogni controllo. La risposta di Putin fu quella di usare l’arma dell’aumento dei prezzi dell’energia per fiaccare gli alleati. Tuttavia proprio l’aumento dei prezzi del gas ha fatto il gioco degli Stati Uniti, dato che solo l’aumento dei prezzi dell’energia rende utilizzabile il costoso Shale gas, ottenibile dal recupero del metano incapsulato nelle argille sotterranee. D’altra parte proprio l’aumento dei prezzi del gas russo ha reso credibile la ricerca di fonti alternative, dal solare all’idrogeno, ma ha anche permesso all’Europa di riscoprire l’Africa come fornitore alternativo di energia.
Ancora una volta si ricordi però come le missioni di Draghi in Africa- ed ancor prima quelle di Prodi- assegnavano agli accordi economici con i paesi africani una chiara connotazione politica, che doveva avvicinare l’Africa all’Unione europea, al di là delle pesanti scorie del vecchio colonialismo franco-inglese, e delle nuove pericolosissime penetrazioni russo-cinesi. Non è infatti un caso che nessun paese africano abbia adottato sanzioni contro la Russia, avendo tutti più o meno beneficiato di protezioni militari russe o di investimenti cinesi. Questo fatto ha reso palese la necessità di un’azione europea per riportare l’intero continente africano verso i principi della democrazia e della pace.
L’Africa del resto presenta dati di crescita demografica massiccia, che soprattutto nell’area subsahariana ha caratteri esplosivi. La Nigeria, oggi già il paese più popoloso del Continente, passerà dagli attuali 230 milioni di abitanti ai quasi 800 milioni di fine secolo, seguita da tutti gli altri paesi dell’area, in netto contrasto con una Europa in caduta demografica, ed in particolare un’Italia che oggi ha un’età media di 47,5 anni contro i 18 anni di media dei nigeriani. I segni di questa crisi demografica si vedono già, non
solo perché mancano lavoratori nelle nostre campagne, ma perché non si trovano tecnici per le nostre aziende ed il loro bisogno di innovazione e l’Istat ci dice che in pochi anni, cioè entro il 2041, il nostro stesso welfare diverrà insostenibile quando caduta demografica ed invecchiamento della popolazione porteranno ad avere più pensionati che lavoratori attivi.
Come abbiamo visto in tutta la sua drammaticità, pensare di fermare queste dinamiche globali con un atteggiamento di emergenza e difensivo, bloccando le nostre spiagge, è non solo miope ma pericoloso per il bene di tutti. L’Europa deve affrontare in una prospettiva in lungo periodo il tema Africa per evitare il rischio di rimanere sempre più schiacciati fra le nuove tensioni fra Est ed Ovest. La terza elezione di Xi Jinping pone il tema della leadership del mondo “emergente” fuori dall’asse USA-Europa-Giappone. La Russia resta un gigante dai piedi di argilla- tanto che il suo PIL è inferiore di un terzo a quello italiano ed è solo l’8,5 per cento di quello degli USA. La Cina invece ha un PIL dell’80 per cento di quello statunitense ed è pari a quello che sarebbe l’Europa nel suo insieme, comprese UK e Norvegia. Una Cina, che gioca a tutto tondo, raccogliendo il consenso dell’emergente India, ma anche degli Stati islamici, diviene – specialmente nel declino russo- il vero attore di una nuova stagione di contrapposizione con gli Stati Uniti e di marginalizzazione dell’Europa. D’altra parte la stessa Cina deve fare i conti con il rapido invecchiamento interno, che porterà a fine secolo a dimezzare la sua stessa popolazione, come conseguenza della politica ormai trentennale del “figlio unico”.
Dagli Stati Uniti viene un’altra minaccia nei confronti europei: l’Inflation Reduction Act dell’agosto 2022 ha inaugurato una fase neoprotezionista dell’Amministrazione Biden, stanziando 391 miliardi di dollari per la riqualificazione energetica ed ambientale dell’industria americana, però con vincoli alle esportazioni di tecnologie che coinvolge anche gli alletati. Prevede inoltre sussidi per attrarre investimenti in USA, che hanno spinto i 27 ministri europei delle Finanze a dichiarare che questa legge lede le regole del WTO. A riprova sono notizie di questi giorni che Volkwagen e Siemens hanno deciso di investire in America, attratti anche dai generosi sussidi e che è partito nel contempo il blocco delle stampanti per chip, sia negli USA, che in Giappone ma anche in Olanda, come avvio dell’embargo tecnologico verso la Cina.
Di fronte al rischio di rimanere schiacciati fra le nuove tensioni, sia militari che economiche, fra Occidente ed Oriente, la via europea di ritrovare una strada verso il Sud del Mondo richiede una strategia di lungo periodo ed una visione che individui nella formazione delle classi dirigenti – in particolare africane – l’elemento base per una nuova politica comune. In questa prospettiva una Europa che ricerchi una relazione di lungo periodo con l’Africa deve essere consapevole dei molti problemi che stanno a noi di fronte, a partire dalla presenza di governi in larga parte autoritari, ai problemi di crescita economica che debbono essere sostenuti non solo da risorse adeguate ma anche da tecnologie e servizi di ricerca di primo livello, ad una pressione demografica senza precedenti. D’altra parte in Africa esistono anche grandi opportunità di sviluppo, che poste in una prospettiva di lungo periodo possono divenire una linea di crescita e di sviluppo democratico per tutto il mondo.
Una sfida straordinaria, che pone l’Italia ed in particolare il Mezzogiorno al centro della prospettiva di rilancio per l’intera Europa, rilancio di cui il nostro Paese ha particolarmente bisogno, poiché, tranne la parentesi di Draghi in cui siamo cresciuti al 3,8 per cento, la nostra crescita è rimasta schiacciata a livelli inferiori all’1 per cento, o peggio a frazioni di punto. L’Italia ed in particolare il Mezzogiorno, si presenta con una capacità di formazione e di ricerca che può reggere la sfida, ma deve esserne più consapevole ed agire focalizzando meglio il proprio ruolo nel Mediterraneo, che non può limitarsi ad hub energetico, ma assumersi la responsabilità di essere il fronte più esposto dell’intera Unione.
Il Festival EuroMediterraneo (FEUROMED) serve anche a questo, a porre tutti noi in una prospettiva di lungo periodo, in cui poter giocare un ruolo propulsore per una nuova economia di pace.