Focus su stabilità del Mediterraneo e sui migranti

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 19/10/2023

DOMANI IL MINISTRO TAJANI RITORNA A TUNISI

Il vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, tornerà domani in Tunisia. Una missione difficile e che assume particolare rilevanza alla luce dell’attacco del movimento islamista palestinese Hamas a Israele dello scorso 7 ottobre. “Venerdì sarò in Tunisia perché la questione ovviamente si allarga anche al fenomeno migratorio”, afferma il capo della diplomazia italiana ai “Security and Defence days” della Fondazione De Gasperi. La Tunisia è il primo Paese di partenza dei migranti irregolari che sbarcano in Italia via mare. Dall’inizio del 2023 fino a metà settembre, oltre 85.000 persone sono arrivate sulle coste italiane partendo dalle spiagge tunisine, una media di circa 319 sbarcati al giorno, un incremento di oltre il 360 per cento rispetto alla media dello scorso anno. Eppure dalla Tunisia partono soprattutto subsahariani, mentre solo uno su sette è di nazionalità tunisina. In un colloquio telefonico con l’omologo tunisino Nabil Ammar del 15 ottobre scorso, Tajani aveva parlato della necessità di “lavorare per la pace e la stabilità regionale, attivando corridoi umanitari a tutela dei più deboli a cominciare da donne e bambini”. Vale la pena ricordare che la Tunisia è forse il Paese arabo ad aver assunto la posizione più intransigente contro Israele e a favore dei palestinesi. “Quella che alcuni media chiamano Striscia di Gaza è terra palestinese che è stata sotto occupazione sionista per decenni”, si leggeva in un comunicato della presidenza della Repubblica pubblicato il giorno dopo l’attacco di Hamas. “La comunità internazionale dovrebbe riconoscere il diritto alla legittima resistenza all’occupazione e non parlare di aggressione”.

Nonostante i contatti tra il movimento nazionalista tunisino e Israele negli anni ’50, Tunisia e Israele non sono mai riusciti a stabilire relazioni diplomatiche formali. Nel 1985, l’attacco israeliano al quartier generale dell’Olp in Tunisia ha notevolmente accresciuto le tensioni tra le due nazioni. Tuttavia, la Tunisia ha svolto un ruolo cruciale nei negoziati tra l’Olp e Israele, che hanno portato alla firma della Dichiarazione di Oslo nel 1993. I contatti si sono però deteriorati all’inizio del 21esimo secolo, in concomitanza con la seconda Intifada. Nel 2019, le relazioni sono quasi del tutto cessate sotto la presidenza di Kais Saied, il quale considera la normalizzazione dei rapporti con Israele da parte di alcuni Paesi arabi co- me un atto di “alto tradimento”. Il presidente tunisino Saied ha adottato una posizione sempre più in- transigente sulla questione israeliana – al punto da dichiarare che il nome del ciclone “Daniel” che si è abbattuto in Libia a settembre sarebbe stato influenzato dal “movimento sionista mondiale”.

Tajani dovrà anche cercare di ricucire lo strappo tra la Tunisia e l’Unione europea dopo ben due visite rimandate (la prima di una delegazione di europarlamentari, la seconda di funzionari della Commissione europea) e 60 milioni di euro di aiuti europei rispediti al mittente. “La Tunisia non è alla mercé di nessuno”, ha detto il ministro degli Esteri tunisino Ammar, in un’intervista pubblicata sul quotidiano “Al Chorouk”. Sulla questione è opportuno fare un po’di chiarezza. Lo scorso 22 settembre, la Commissione aveva annunciato lo sblocco di 127 milioni di euro di aiuti alla Tunisia, suddivisi in 60 milioni di euro di sostegno al bilancio e 67 milioni di euro di assistenza operativa in materia di migrazione. Ma questi 60 milioni non fanno parte dei 255 milioni di euro (150 di sostegno al bilancio più 105 di aiuto alla lotta contro le migrazioni illegali) previsti dal memorandum d’intesa firmato a luglio grazie all’intervento dell’Italia, ma rientrano in programmi già in corso, in particolare quelli mirati alla ripresa post Covid. Di fatto, dei 255 milioni di euro promessi a luglio, l’Unione europea ne ha sbloccati fin qui solo 46.

Intanto, il presidente Saied ha licenziato ieri il ministro dell’Economia, Samir Saied, sostituendolo con Sihem Boughdiri Nemsia, già ministra delle Finanze. La decisione del presidente tunisino arriva in seguito alle ripetute dichiarazioni di Samir Saied sulla necessità che Tunisi ottenga un prestito dal Fondo monetario internazionale. Quest’opzione è in contrasto con la politica perseguita dal presidente della Repubblica, che ritiene che la Tunisia debba contare sulle “proprie risorse” senza dover sottostare ai “diktat” delle istituzioni finanziarie internazionali. Tuttavia, secondo l’agenzia Fitch Ratings l’intero sistema finanziario nazionale è a rischio senza i soldi del Fondo. Il piano di finanziamento del governo tunisino prevede circa 5,5 miliardi di dollari (circa il 10 per cento del Pil) di finanziamenti esterni nel 2023. Ma a giugno la Tunisia aveva ottenuto soltanto 865 milioni di dollari circa: mancano quindi oltre 4 miliari di dollari.

Se i finanziamenti dell’Fmi non saranno garantiti, Fitch si aspetta “che vengano comunque rilasciati ulteriori finanziamenti esterni, tra cui 500 milioni di dollari dall’Arabia Saudita, 150 milioni di euro in sovvenzioni dell’Ue, il secondo esborso di 500 milioni di dollari nell’ambito dell’impegno del 2023 della Afrexim Bank e 550 milioni di dollari dall’Algeria”. Eppure, in un simile scenario, il settore finanziario nazionale faticherebbe a colmare l’ampio gap di finanziamento pubblico. “Ciò potrebbe spingere il governo a cercare finanziamenti diretti dalla Banca centrale, danneggiando potenzialmente l’indipendenza e la credibilità della banca”.