GAZA: PRESSIONE DEI DEMOCRATICI AMERICANI CONTRO NETANYAHU

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 15/03/2024

Sul piano negoziale rimane lo stallo nei colloqui sul cessate il fuoco che vedono impegnati Stati Uniti, Egitto e Qatar nel ruolo di mediatori

Al 160esimo giorno di guerra nella Striscia di Gaza, proseguono i combattimenti tra le Forze di difesa israeliane (Idf) e il movimento islamista palestinese Hamas, mentre sul piano negoziale rimane lo stallo nei colloqui sul cessate il fuoco che vedono impegnati Stati Uniti, Egitto e Qatar nel ruolo di mediatori. Sullo sfondo, restano la potenziale invasione di Rafah – nell’area meridionale dell’exclave – da parte delle Idf, l’aggravamento della crisi umanitaria tra gli sfollati palestinesi, e i rapporti sempre più freddi tra l’area democratica statunitense guidata dal presidente Usa Joe Biden, che ha spinto fino all’ultimo per una tregua umanitaria prima dell’inizio del mese di Ramadan, e l’amministrazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che invece continua a portare avanti l’offensiva a Gaza, fino alla totale eliminazione di Hamas dalla Striscia.

L’ultimo attacco diretto alla politica di Netanyahu, in ordine di tempo, è arrivato dal leader della maggioranza del Senato degli Stati Uniti, il democratico Chuck Schumer, che ha chiesto la “sostituzione” del primo ministro israeliano attraverso lo svolgimento di “nuove elezioni”, affinché lo Stato ebraico possa “apportare alcune significative correzioni di rotta” nella risposta alla minaccia di Hamas. “Credo che Netanyahu abbia smarrito la strada, dando precedenza alla sua sopravvivenza politica rispetto agli interessi dello Stato ebraico”, ha detto Schumer in un discorso al Senato. Quello del parlamentare statunitense può essere considerato uno degli attacchi più duri arrivati dall’area democratica Usa dopo il massacro del 7 ottobre 2023 del movimento islamista contro Israele.

Non a caso le parole del senatore statunitense hanno avuto ampio eco a livello internazionale, trovando l’appoggio immediato dell’opposizione politica israeliana. “Questa è la prova del fatto che, uno dopo l’altro, (Netanyahu) sta perdendo i maggiori sostenitori di Israele negli Stati Uniti”, ha dichiarato il capo dell’opposizione, Yair Lapid. Il primo ministro, ha poi osservato Lapid, “sta causando un danno significativo allo sforzo nazionale per vincere la guerra e mantenere la sicurezza” del Paese. Non si è fatta attendere tuttavia la reazione del partito Likud, guidato da Netanyahu. In una nota ufficiale, la formazione politica al governo di Israele ha voluto chiarire che il Paese “è una democrazia indipendente e orgogliosa che ha eletto il primo ministro Netanyahu, e non una Repubblica delle banane”.

Il premier, ha assicurato il Likud, “porta avanti una politica determinata che è sostenuta dalla stragrande maggioranza della popolazione” e “contrariamente alle parole di Schumer, l’opinione pubblica israeliana sostiene una vittoria completa su Hamas, rifiuta qualsiasi dettame internazionale volto a creare uno Stato terroristico palestinese e si oppone al ritorno dell’Autorità nazionale palestinese a Gaza”. “Ci si aspetta che il senatore Schumer rispetti il governo eletto di Israele e non lo indebolisca. Questo è sempre vero, ma lo è ancora di più in tempo di guerra”, ha concluso la nota. La risposta del Likud segue la scia delle dichiarazioni di Netanyahu di domenica scorsa, quando aveva affermato che le sue politiche sono “sostenute dalla stragrande maggioranza dei cittadini israeliani”.

In un’intervista al portale “Politico”, il premier aveva così risposto alla dichiarazione del presidente Usa, Joe Biden, secondo cui l’approccio alla guerra nella Striscia di Gaza “fa più male che bene a Israele”. “Non so esattamente cosa intendesse il presidente”, ha detto Netanyahu, “ma se intendeva dire che sto perseguendo politiche private contro il desiderio della maggioranza degli israeliani, e che questo sta danneggiando gli interessi di Israele, allora si sbaglia su entrambi i fronti”. “Queste non sono solo le mie politiche private”, ha proseguito il primo ministro, sottolineando che “sono politiche sostenute dalla stragrande maggioranza degli israeliani”, la quale comprende che “se non proseguono le operazioni militari contro Hamas si ripeterà il massacro del 7 ottobre”, con conseguenze “negative” per il futuro della pace e stabilità nel Medio Oriente.

In mezzo alle polemiche sul lato politico, sul piano militare non si fermano gli scontri tra le Idf e Hamas nella Striscia di Gaza, come neanche nel secondo fronte del conflitto, quello al confine israelo-libanese tre le stesse forze israeliane e il movimento sciita filo-iraniano Hezbollah. Nella giornata di ieri, secondo l’agenzia palestinese “Wafa” almeno otto civili palestinesi sono morti in un attacco aereo attribuito a Israele contro un magazzino per la distribuzione di aiuti nel campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. I caccia delle Idf avrebbero, inoltre, compiuto altri raid a ovest del campo profughi di Shati, a Gaza City, mentre la Mezzaluna rossa palestinese ha recuperato i corpi senza vita di 15 persone nel quartiere di Hamad City a Khan Yunis, nel sud dell’exclave palestinese.

Nelle ultime 24 ore, Hamas ha poi condannato l’assassinio del capo di un comitato di emergenza di Rafah, Nidal Sheikh Eid, e di un membro delle forze di polizia dello stesso gruppo islamista, Mahmoud Abu Hasna, da parte di Israele. In una dichiarazione sul proprio canale Telegram, Hamas ha affermato: “Il vile assassinio compiuto dall’esercito di occupazione sionista (Israele) del capo di un comitato di emergenza di Rafah, il martire Nidal Sheikh Eid, e del vice capo delle operazioni di polizia, il martire Mahmoud Abu Hasna, è un atto criminale attraverso il quale il nemico nazista mira a confondere il fronte interno, a creare uno stato di caos e a impedire qualsiasi tentativo di fornire soccorso ai nostri sfollati”. Il movimento islamista ha anche esortato i palestinesi della Cisgiordania a mobilitarsi per il primo venerdì di Ramadan (mese sacro per i fedeli musulmani), per far cessare gli attacchi israeliani contro la popolazione della Striscia di Gaza.

Come ha riferito l’agenzia di stampa palestinese “Quds News Network”, il gruppo islamista ha anche chiesto ai palestinesi di recarsi alla moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, e di proteggerla da eventuali attacchi da parte delle forze israeliane. Sul fronte relativo al confine isrealo-libanese, i caccia delle Forze di difesa d’Israele (Idf) hanno colpito alcune infrastrutture attribuite al movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah nelle località di Naqoura e Yaroun, nel sud del Libano. Lo hanno reso noto le stesse Idf in una nota, spiegando di aver bombardato anche l’area di Hamoul con lo scopo di “eliminare una minaccia”. Gli attacchi delle Idf sono arrivati in risposta a precedenti raid provenienti dal Libano contro l’area del kibbutz di Malkia, nel nord di Israele. Intanto il segretario generale del partito sciita libanese filo-iraniano Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha affermato che “i soggetti che compongono il cosiddetto Asse della resistenza resteranno a fianco del movimento islamista palestinese Hamas”, negando allo stesso tempo il “coinvolgimento dell’Iran nelle decisioni della resistenza”.

Il leader di Hezbollah ha spiegato che “l’intervento del partito ha indebolito l’esercito israeliano, che è stanco su tutti i fronti e sta subendo più perdite di quelle che annuncia”. Secondo Nasrallah, la necessità di integrare gli ebrei ultra-ortodossi nelle Forze di difesa di Israele (Idf) confermerebbe queste difficoltà. Il leader di Hezbollah ha poi aggiunto: “Le perdite economiche subite nel sud del Libano non sono nulla rispetto a quelle subite nel nord di Israele”. Rivolgendosi al primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, Nasrallah ha dichiarato che anche “se torna a Rafah, ha perso la guerra”, riferendosi all’annuncio più volte ribadito dal premier (ma finora mai messo in atto) di effettuare un’operazione di terra nella città più meridionale della Striscia di Gaza. Secondo l’ultimo bilancio fornito dal ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, 31.341 persone sono morte e 73.134 sono rimaste ferite dall’inizio delle operazioni delle Forze di difesa israeliane nella Striscia di Gaza il 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco del movimento islamista palestinese.