Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 23/02/2024
L’ANNUNCIO DEL MINISTRO DELL’INTERNO DI TRIPOLI
Le milizie che controllano Tripoli da oltre un decennio avrebbero accettato di lasciare la capitale della Libia entro il 9 aprile, alla fine del mese sacro del Ramadan. Si tratterebbe di un accordo raggiunto dai funzionari del ministero dell’Interno del Governo di unità nazionale (Gun) dopo mesi di consultazioni con i gruppi armati presenti nella città. È quanto annunciato in una conferenza stampa dal titolare del dicastero del Gun ed ex vice capo dei servizi segreti originario della città di Zintan, Imad Mustafa Trabelsi. “Durante il prossimo periodo, la capitale sarà sgomberata da tutte le milizie, con l’attuazione che inizierà dopo il mese sacro del Ramadan (che avrà inizio il 10 marzo)”, ha detto Trabelsi. Le milizie coinvolte nel ritiro includono il Servizio di sicurezza pubblica, le Forze di deterrenza, la Polizia giudiziaria, l’Autorità di sostegno alla stabilità, la 444esima Brigata da combattimento e la 111esima Brigata, insieme ad altre forze di sostegno. “Tutte queste forze torneranno alle loro basi e ai quartieri generali”, ha affermato il ministro del Gun, precisando che “le istituzioni statali e le strade saranno presidiate dalle forze di polizia, con stazioni e dipartimenti affiliati alla Direzione di sicurezza di Tripoli, mentre si lavorerà per rafforzare i punti deboli”.
L’accordo sul ritiro delle milizie dalla capitale libica arriva dopo una serie di violenti scontri avvenuti nell’area di Tripoli, come quello dello scorso agosto tra le Forze speciali di deterrenza (Rada) e la Brigata 444, che ha causato 55 morti e 146 feriti. In seguito al rovesciamento del regime di Muammar Gheddafi nel 2011 e alla mancanza di sicurezza creatasi successivamente, la Libia è stata martoriata da conflitti interni e caos politico. Di conseguenza, molti gruppi armati hanno approfittato di questa situazione di instabilità per colmare il “vuoto” di sicurezza e imporre la propria influenza. Non solo. La morte del dittatore portò a indire le prime elezioni democratiche in Libia il 7 luglio 2012, alle quali seguì un’altra elezione per l’attuale Camera dei rappresentanti (il parlamento libico con sede in Cirenaica) nell’ormai lontano 2014. Da allora, i libici non hanno più potuto esercitare il proprio diritto di voto e oggi il Paese ricco di petrolio ma povero di servizi è di fatto diviso in due.
Da una parte c’è il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il cosiddetto Governo di stabilità nazionale guidato da Osama Hammad, primo ministro designato dalla Camera dei rappresentanti, di fatto un esecutivo parallelo con sede a Bengasi manovrato dal generale Khalifa Haftar, comandante in capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico, sostenuto dalla Russia. A proposito della situazione in Tripolitania, nel corso della conferenza stampa, il ministro dell’Interno del Gun Trabelsi ha avvertito che “qualcuno sta fomentando le lotte nella regione occidentale e incitando alla violenza” tra i libici, sottolineando che “nessuna disputa politica dovrebbe influenzare la sicurezza dei libici, perché questo è qualcosa che non può continuare”.
Il ministro ha inoltre negato di schierarsi o appoggiare figure specifiche nell’attuale disputa politica, ribadendo di “sostenere soltanto i cittadini” e rifiutare la mobilitazione militare. “Tutti i tipi di mobilitazione militare e di incitamento sono respinti in tutta la regione occidentale”, ha affermato Trabelsi. “Molte persone e criminali hanno approfittato della divisione politica per sfuggire alla magistratura e farla franca con i loro crimini”, ha detto Trabelsi. In precedenza, il ministro Trabelsi aveva assicurato che i colpevoli degli scontri avvenuti il 17 febbraio (giorno dell’anniversario della rivoluzione che ha segnato la caduta del regime di Gheddafi) nella zona di Abu Salim, vicino a Tripoli, in cui sono morte dieci persone, sarebbero stati “arrestati”, spiegando che il suo ministero sta lavorando per attuare un piano integrato finalizzato a mettere in sicurezza la capitale Tripoli e l’intera regione occidentale del Paese.
Secondo la missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), quanto avvenuto il 17 febbraio ad Abu Salim “evidenzia le preoccupazioni ripetutamente sollevate dall’inviato del segretario generale delle Nazioni Unite per la Libia, Abdoulaye Bathily, sui gravi rischi posti dalle rivalità tra gli attori della sicurezza che continuano a minacciare la fragile sicurezza di Tripoli”. Unsmil ha esortato le autorità libiche competenti a garantire “un’indagine indipendente, rapida e approfondita sull’incidente e a prevenire qualsiasi azione che potrebbe portare a un’escalation e a ulteriore violenza”. Gli scontri erano avvenuti in una zona sotto il controllo della milizia di sostegno alla stabilità, guidata da Abdul Ghani al Kikli, e affiliata al Gun del primo ministro Dabaiba