IN LIBIA SALTA L’ACCORDO SU NUOVO GOVERNO E ELEZIONI

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 06/10/2023

Tutto da rifare in Libia. Il tortuoso percorso per portare il Paese nordafricano alle elezioni parlamentari e presidenziali, superando la caotica fase di transizione in corso da più di un decennio, è tornato alla casella di partenza. L’Alto consiglio di Stato, una sorta di “Senato” con sede a Tripoli, ha respinto il 4 ottobre le leggi elettorali approvate due giorni prima e in modo unilaterale dalla Camera dei rappresentanti, il Parlamento del 2014 che si riunisce nell’est del Paese

Tutto da rifare in Libia. Il tortuoso percorso per portare il Paese nordafricano alle elezioni parlamentari e presidenziali, superando la caotica fase di transizione in corso da più di un decennio, è tornato alla casella di partenza. L’Alto consiglio di Stato, una sorta di “Senato” con sede a Tripoli, ha respinto il 4 ottobre le leggi elettorali approvate due giorni prima e in modo unilaterale dalla Camera dei rappresentanti, il Parlamento del 2014 che si riunisce nell’est del Paese. L’organo consultivo di Tripoli ha votato “per lo scioglimento del Comitato paritetico per la preparazione delle leggi elettorali 6+6”, rimanendo ancorato “all’accordo firmato a Bouznika, in Marocco, nel giugno 2023”. Il riferimento è alla prima bozza della legge elettorale approvata nella città marocchina che impone, tra le altre cose, un ballottaggio obbligatorio per le presenziali anche se un candidato vincesse con il più del 50 per cento dei voti al primo turno. Lo strappo tentato dal Parlamento dell’est guidato da Aguila Saleh mira in realtà a insediare un nuovo governo di transizione. Il risultato però è l’esatto contrario, ovvero una levata di scudi da parte di Tripoli, saldamente sotto il controllo di Abdulhamid Dabaiba e del suo Governo di unità nazionale (Gun). Quest’ultimo è riuscito a rimuovere un suo rivale politico, Khaled al Mishri, politico islamista origina- rio di Zawiya, dalla guida del Consiglio di Stato la scorsa estate, facendo eleggere alla presidenza del “Senato” una persona- lità a lui vicina, Mohamed Takala. Non stupisce, dunque, che Takala abbia bloccato il tentativo del Parlamento dell’est. La faida, ora, sembra essere tra chi vuole che il Governo di unità nazionale (Gun) di Tripoli e il cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn) parallelo dell’est rimanga- no al potere e chi, come Aguila Saleh, vorrebbe un nuovo esecutivo.

Il presidente della Camera dei appresentanti, peraltro, ha scritto al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, nel tentativo di mobilita- re “sostegno internazionale” alla proposta – parte delle leggi ap- provate all’unanimità lunedì a Bengasi – di insediare un nuovo governo unitario incaricato di traghettare il Paese alle elezioni. Eventualità, quest’ultima, fortemente sostenuta dall’Egitto e recentemente avallata senza troppo convizione anche dagli Stati Uniti e dall’Onu. L’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Abdoulaye Bathily, da parte sua, ha più volte dichiarato pubblicamente che tutti devono potersi candidare in Libia, inclusi quindi personaggi divisivi come Saif al Islam Gheddafi, figlio del defunto colonnello libico Muammar, il generale a capo dell’Esercito nazionale libico (Lna) Haftar, e il premier di Tripoli, Abdulhamid Dabaiba. Non a caso, Bathily ha recente- mente sottolineato la necessità di “finalizzare le leggi elettorali e di lavorare su un accordo politico globale che apra la strada a elezioni inclusive”. La vera posta in gioco ora sembra essere la ricostruzione di Derna e della Cirenaica. Il 70 per cento delle fati- scenti infrastrutture della Libia orientale è andato distrutto nel- l’uragano “Daniel”. Il 25 per cento della città libica a metà strada da Bengasi, centro nevralgico del potere haftariano, e il confine con l’Egitto, alleato numero uno del “feldmaresciallo” libico, è da ricostruire da zero. Non a caso, la cosiddetta “Conferenza internazionale per la ricostruzione di Derna” annunciata per il 10 ottobre dalle autorità parallele della Libia orientale stata rimandata a novembre. Da una parte perché non è il caso parlare di commesse e appalti mentre si stanno ancora contando i morti. Dall’altra perché non è chiaro che appoggio avrebbe una conferenza organizzata da un’entità non ufficialmente riconosciuta.