Iran, le elezioni di domani saranno un referendum sugli ayatollah

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 01/03/2024

l voto di oggi in Iran sarà un referendum pro o contro la Repubblica islamica. Lo ha affermato ad “Agenzia Nova” l’analista geopolitico di origini iraniane, Nima Baheli, spiegando quali potranno essere le conseguenze delle consultazioni che si terranno domani, primo marzo, nel Paese mediorientale che porteranno al rinnovamento del Majlis-e Shora-ye Islami, l’Assemblea consultiva islamica che corrisponde al parlamento, e dell’Assemblea degli esperti (Majlis-e Khebregan), che si occupa di nominare la guida suprema. “Se da un punto di vista di relazioni internazionali la Repubblica islamica si è in qualche modo rafforzata negli ultimi anni, queste elezioni si svolgono in un contesto di crescente crisi di legittimità interna, che si è acuita con la morte di Mahsa Jina Amini nel 2022 e con le proteste che ne sono conseguite”, spiega Baheli. Si tratta infatti delle prime votazioni dopo la morte della 22enne curda-iraniana, arrestata perché portava il velo in modo improprio e morta in custodia della polizia morale (Gasht-e-Ershad). L’episodio ha scatenato proteste in tutto il Paese e la violenta reazione delle autorità, che hanno ucciso almeno 600 persone.

È fortemente probabile che l’instabilità interna vada a rafforzare una tendenza già registrata alle precedenti elezioni parlamentari del 2020, quando alle urne si era recato circa il 40 per cento degli aventi diritto, record minimo di affluenza dall’instaurazione della Repubblica islamica nel 1979. Le elezioni di domani potrebbero registrare un ulteriore crollo della partecipazione elettorale, facendo aumentare le preoccupazioni della leadership iraniana che ha sempre considerato l’affluenza alle urne un fattore decisivo di legittimazione. “Si stima che circa il 77 per cento degli aventi diritto potrebbe non andare a votare”, afferma Baheli. Altre previsioni citate dal media di opposizione “Iran International” sono più negative: si parla di un’affluenza generale pari al 15 per cento. Al contrario, l’agenzia di informazione “Fars” – vicina al Corpo delle guardie della rivoluzione iraniana – afferma che il 71 per cento degli aventi diritto si recherà alle urne. Di questa percentuale, secondo “Fars” il 41,5 per cento dichiara che andrà a votare sicuramente, il 29,5 per cento che sarà indeciso fino ad oggi – giovedì 29 febbraio -, e che il 29 per cento rimanente non voterà. Baheli ha ricordato inoltre che per circa 3,5 milioni di 18enni questo è il primo appuntamento elettorale, ma che è probabile che il 60 per cento di loro non intenda esercitare il diritto di voto.

Va ricordato, spiega l’analista, che circa due terzi della popolazione iraniana ha meno di 40 anni e che la fascia giovanile è tra le più colpite dalla crisi economica (con una disoccupazione di circa 15 per cento), ma anche dalla repressione. “Si stima che buona parte delle decine di migliaia di persone arrestate e ferite nel contesto delle proteste abbia meno di 25 anni”. La crisi della leadership si riflette anche nella progressiva presa di distanza di fasce della popolazione tradizionalmente vicina alla Repubblica islamica, a seguito della repressione e del deteriorarsi della situazione economica che ha visto salire al 50 per cento l’inflazione e il crollo del 28 per cento del Pil pro capite. Baheli sottolinea anche un graduale restringimento della cerchia ristretta del regime a beneficio delle persone di fiducia della guida suprema Ali Khamenei. “L’attuale presidente della Repubblica, Ebrahim Raisi, è considerato dalla maggior parte della popolazione espressione diretta della volontà dell’ayatollah, a differenza di altri presidenti a cui era comunque riconosciuta una personalità politica indipendente”, afferma l’analista. Nel corso del tempo i vertici della Repubblica islamica hanno fatto in modo di escludere sempre di più le figure considerate riformiste, comprese quelle di spicco.

“A titolo d’esempio si pensi al veto della candidatura dell’ex presidente Hassan Rohani”. Il meccanismo di selezione previsto per l’elezione dell’Assemblea degli esperti ha di fatto garantito una futura maggioranza conservatrice, spiega l’analista, aggiungendo che questa eventualità porterà a scegliere la prossima guida suprema in continuità con la leadership attuale. D’altro canto, consapevole del forte rischio di astensione alle elezioni parlamentari, il consiglio dei Guardiani della Costituzione (Shora-ye Negahabn-e Qanun-e Assassi), che opera una scrematura dei candidati, ha “allargato le maglie consentendo a circa 15 mila persone su 48 mila di presentarsi: il doppio rispetto alle precedenti elezioni”. Baheli ricorda inoltre che le 1.700 candidature femminili accettate (rispetto alle 800 del 2020) costituiscono un ulteriore tentativo del regime di incrementare l’affluenza alle urne. Nel frattempo però si moltiplicano gli appelli al boicottaggio delle elezioni, compreso quello del premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, dovuto “alla violenta repressione messa in atto dal regime e dalla consapevolezza che allo stato attuale, almeno finché Khamenei sarà al potere, questo regime non è riformabile”, conclude Baheli. Domani gli iraniani saranno chiamati a votare per il rinnovo del parlamento, che conta 290 seggi e resterà in carica per quattro anni e dell’Assemblea degli esperti, che conta 88 religiosi, eletti a suffragio universale ogni otto anni.