Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 04/05/2024
La visita di Xi riafferma l’importanza di Serbia e Ungheria nel disegno cinese verso l’Europa. La Serbia è stata infatti eletta a tappa essenziale fin dal concepimento del progetto della nuova Via della Seta, la Belt and road initiative (Bri) lanciata da Xi Jinping nel 2013. In questo contesto la Serbia è diventata un prezioso trampolino di lancio verso il continente europeo per progetti di lungo respiro, il più famoso dei quali è linea ferroviaria veloce Belgrado-Budapest. La ferrovia è però solo l’ultima tappa “di terra” verso il Centro Europa del disegno cinese, cominciato in Grecia con l’acquisizione nel 2017 di tutti i terminal del porto del Pireo da parte dal gruppo statale China ocean shipping company (Cosco).
Il disegno è proseguito con il tracciamento di un servizio ferroviario efficiente per creare una continuità fra mare e terra fino all’Europa centrale. Ed è così che Cosco ha avviato nel 2017 un servizio ferroviario fino a Belgrado, riconoscendo alla capitale serba non solo una posizione strategica ma soprattutto il ruolo di “inland port”, un porto continentale capace di ridirezionare le merci attraverso i grandi fiumi che l’attraversano. Il governo serbo ha da parte sua riconosciuto immediatamente la valenza del progetto logistico, sostenendolo anche attraverso incontri politici ai massimi livelli e pubblicizzando in ogni occasione l’amicizia “fra i due popoli e i due presidenti”. Le decine di progetti concordati tra Pechino e Belgrado riguardano infrastrutture stradali e ferroviarie, ma anche altri settori chiave come quello dell’acciaio e dell’estrazione mineraria.
Un altro punto centrale, infatti, della presenza cinese in Serbia è rappresentato dall’acquisizione, nel 2016, della Zelezara di Smederevo, il maggiore complesso siderurgico della regione costruito in epoca jugoslava. Le acciaierie si sono presentate come un “cavallo di Troia” per l’ingresso della produzione cinese in Ue, grazie agli accordi di libero scambio stretti da Bruxelles con i Paesi, come la Serbia, con cui vige un Accordo di stabilizzazione e associazione (Asa). Gli eccellenti risultati delle esportazioni di Smederevo sono stati ottenuti nonostante i dazi imposti dalla Commissione europea al termine di un’indagine sull’importazione dei prodotti dell’acciaio fra cui quelli di provenienza cinese. Il settore minerario è un altro punto focale della presenza cinese in Serbia, grazie all’acquisto delle miniere di rame di Bor nell’est del Paese. Ma i progetti congiunti proseguono anche su nuovi fronti, come quello delle energie rinnovabili. Risale allo scorso gennaio la firma del memorandum d’intesa tra la Serbia e le società Shanghai Fengling Renewables e Zidjin Kuper, un documento che intende rappresentare il punto di partenza per la realizzazione di una serie di investimenti negli anni a venire. Il rapporto bilaterale non può però essere ascritto ad una mera cooperazione economica. Dal punto di vista politico, infatti, Pechino è alleato a dir poco prezioso di Belgrado nei consessi internazionali, a cominciare dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dove si discute regolarmente la questione del Kosovo, che la Cina non riconosce come Stato indipendente. Secondo il professor Vedran Dzihic dell’Università di Vienna, intervistato dall’emittente “Radio Free Europe”, la visita del presidente cinese, oltre agli aspetti economici e commerciali, invia anche un messaggio politico ai partner occidentali, ovvero che la Serbia “ha un’alternativa” nella rete dei rapporti multilaterali e che ha amici, ancora oggi, non solo a ovest. La Serbia, erede naturale della ex Jugoslavia, si è sempre fatta vanto della politica estera “delle due porte”: una di queste guarda a Occidente mentre l’altra si proietta verso est. Questa politica ha portato ad una ferrea neutralità militare ma anche alla coltivazione di relazioni con partner come la Russia. Con questa visita, secondo alcuni osservatori, l’intento è quello di dimostrare che oggi il partner più importante in Oriente è la Cina e non Mosca, in una fase in cui le relazioni russo-serbe sono costantemente sotto esame da parte delle cancellerie occidentali. Per la Cina, invece, la Serbia diventa una preziosa testa di ponte alle porte dell’Unione europea per rafforzare la propria presenza economica nonché l’influenza politica. Dentro allo spazio Ue sta con un’analoga funzione, nell’ottica di Pechino, l’Ungheria. Dal punto di vista economico, Budapest ospita la più grande base logistica e produttiva di Huawei Technologies al di fuori della Cina, e a nulla sono valsi gli avvertimenti di Bruxelles secondo cui una presenza tanto “ingombrante” può essere un rischio per la sicurezza dell’Ue. L’Ungheria ospiterà presto il primo stabilimento europeo della casa automobilistica cinese Byd, ma è il tema delle infrastrutture a farla da padrone e anche in questo caso la triangolazione con la Serbia è evidente. Attualmente, l’Ungheria rimane l’unico Stato membro dell’Ue a partecipare all’iniziativa Belt and Road dopo il ritiro dell’Italia lo scorso anno. Il progetto ferroviario di linea veloce Budapest-Belgrado incontra dei rallentamenti da parte ungherese a causa degli ostacoli finanziari e nei prossimi colloqui Xi probabilmente discuterà di come accelerare il progetto, magari con un’iniezione di finanziamenti. Il piano infrastrutturale mantiene comunque un’importanza centrale nei piani di Pechino, e le sue potenzialità sono state scorte anche dalla Grecia che lo scorso febbraio ha annunciato l’intenzione di aderirvi. La mossa collegherebbe il Pireo, già in mano cinese, all’Europa centrale e andrebbe così a creare una rotta alternativa per le esportazioni cinesi che devono raggiungere il cuore dell’Europa da sud. La linea ferroviaria veloce, con il suo vertice meridionale in Grecia, raggiungerebbe la lunghezza complessiva di 1.500 chilometri. Ma anche nel caso ungherese il legame economico commerciale con Pechino non è l’inizio e la fine del rapporto bilaterale.
Con una mossa a sorpresa, la Cina si è offerta di sostenere l’Ungheria sulle questioni relative alla sicurezza. Durante una visita a Budapest, lo scorso febbraio, il ministro della Pubblica sicurezza cinese Wang Xiaohong ha espresso a Orban la disponibilità ad approfondire i legami in materia. L’idea è quella di combattere possibili attività criminali rivolte contro i progetti che fanno parte dell’Iniziativa Belt and Road. Wang ha anche incontrato, nel corso della visita a Budapest, il ministro dell’Interno Sandor Pinter e ha firmato diversi documenti per avviare la cooperazione in modo concreto. Il fatto ha già messo il governo Orban in rotta di collisione con i suoi alleati occidentali, perché il nuovo accordo consente alla polizia cinese di pattugliare il Paese e dunque di operare all’interno di uno Stato Ue. L’accordo viene difeso a Pechino con la motivazione di proteggere i tanti turisti cinesi, mentre gli osservatori più critici vi intravedono un modo per controllare investimenti e relativi lavoratori impiegati per realizzarli. Il risvolto politico dei legami economici, infine, si può scorgere anche nel bisogno di fondi dell’Ungheria. La scarsezza di mezzi economici per portare avanti progetti di vasta portata come la linea veloce Belgrado-Budapest può essere un buon viatico per l’introduzione da parte di Pechino di fondi capaci di legare l’Ungheria per anni in termini di restituzione. La tentazione di cogliere le offerte cinesi potrebbe però essere sempre maggiore in futuro se il governo Orban continuasse a non soddisfare i criteri di Bruxelles per arrivare ad uno sblocco definitivo di tutti i fondi di coesione.