Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 06/06/2024
L’attentatore che ieri mattina ha sparato contro la sede dell’ambasciata degli Stati Uniti a Beirut è un siriano, Qais Faraj, rimasto ferito e trasportato in ospedale. La rappresentanza diplomatica è rimasta chiusa per tutto il giorno, ma già oggi dovrebbe riaprire i battenti. Nel corso della giornata, secondo quanto riferito dai media locali, è stato arrestato il fratello dell’attentatore nel villaggio di Majdal Anjar, nel governatorato della Beqaa, nell’area centrorientale del Libano, non lontano dal confine con la Siria, nell’ambito di un’operazione della Direzione della sicurezza del governatorato in coordinamento con l’in – telligence. Secondo l’emittente emiratina “Sky News Arabia”, ad Al Majdal Anjar le autorità libanesi hanno arrestato quattro persone.
La sparatoria davanti alla sede dell’ambasciata Usa a Beirut si inserisce in un contesto di instabilità, acuita dalle tensioni nel sud tra il movimento sciita libanese Hezbollah e Israele, a causa delle quali migliaia di cittadini sono stati sfollati. A ciò si aggiunge lo stallo politico e la parallela crisi economica che attraversa il Paese dei cedri da ormai più di quattro anni. Al momento, inoltre, nessuna sigla ha rivendicato l’azione. “Agenzia Nova” ne ha parlato con Roberta La Fortezza, analista esperta di Libano, secondo cui l’autore dell’attacco contro l’amba – sciata Usa potrebbe essere legato al fenomeno di “radicalizzazione di alcuni dei rifugiati siriani”.
La situazione legata alla presenza sul territorio libanese di numerosi rifugiati siriani, musulmani sunniti, che vivono in condizioni estremamente precarie “da un lato continua a sollevare il problema della pacifica convivenza tra libanesi e siriani,madall’altro evidenzia la possibilità che negli anni, proprio all’interno delle comunità siriane presenti in Libano, possano essere stati portati avanti più ampi processi di radicalizzazione e ciò possa favorire fenomeni di militanza anche di matrice terroristica da parte di singoli individui radicalizzati”, ha affermato La Fortezza nell’intervista a “Nova”. Non va sottovalutato, poi, il contesto regionale.
Per l’esperta, “soprattutto nell’at – tuale contesto mediorientale, segnato dal conflitto in corso tra Israele e Hamas, dalla crisi di Rafah e da un aumento della propaganda legate all’estremismo resta concreta la possibilità che singoli individui radicalizzati possano compiere azioni isolate come quella di questa mattina”. Nello specifico, ha puntualizzato La Fortezza, “è soprattutto il target dell’azione, l’ambasciata Usa ad Awkar – area a maggioranza perlopiù cristiana, situata a circa 15 chilometri da Beirut, dove gli Usa hanno trasferito la propria ambasciata dopo l’attentato del 1983), che potrebbe far pensare a un’azione asimmetrica collegata alla questione israelopalestinese e al sostegno degli Usa nei confronti di Israele”.
Dalle informazioni e dalle immagini diffuse nel corso della giornata, soprattutto tramite i social – che quindi restano da confermare – sui vestiti dell’attentatore, e in particolare sul giubbino utilizzato probabilmente per i caricatori, vi sarebbero alcune scritte, tra cui “Is”, la sigla dello Stato islamico, e almeno un’altra scritta che al momento non è stato possibile ricostruire dalle immagini,mache ricollegherebbe il soggetto al gruppo jihadista. Inoltre, secondo ulteriori informazioni da confermare, l’attentatore avrebbe un tatuaggio riconducibile a un simbolo dello Stato islamico. Al riguardo, La Fortezza ha evidenziato che, secondo altre informazioni da verificare, all’origine del gesto di Qais Farraj vi sarebbe proprio quanto sta accadendo a Gaza.
Sulla base delle poche e di scarsa qualità immagini video disponibili, “l’attentatore non sembrerebbe avere particolari capacità operative né sembrerebbe trattarsi di un’azione con una pianificazione particolarmente raffinata, il che potrebbe confermare il fatto che si tratti di un soggetto più che altro radicalizzato o auto-radicalizzatosi, più che di un soggetto operante direttamente per conto dello Stato islamico”, ha affermato. Lo stesso elemento del tatuaggio “è ambivalente” e “potrebbe sostenere l’ipotesi di un processo di auto-radicalizzazione improvvisata e repentina, in ragione del fatto che i tatuaggi non risultano compatibili con l’impostazione religiosa dell’Islam”. Lo scorso 31 maggio, l’esercito libanese aveva annunciato l’arresto di otto membri dello Stato islamico per furto, dopo “atti che minacciavano la sicurezza nelle regioni di Jabal al Beddawi e Wadi al Nahla, nel nord del Libano.
In particolare, gli spari contro un veicolo militare appartenente a un ufficiale della Direzione generale delle forze di sicurezza interne”. A questo proposito, La Fortezza ha affermato: “Si tratta della più recente operazione contro presunte cellule ed elementi riconducibili allo Stato islamico, ma simili operazioni si sono ripetute con una certa frequenza negli ultimi anni. Nonostante il notevole miglioramento della situazione legata all’attività di Is nel paese levantino, infatti, elementi riconducibili in varia forma al gruppo jihadista risultano ancora presenti in Libano. Si tratta perlopiù di singoli elementi radicalizzati nel corso degli anni, ma non può escludersi del tutto la presenza anche di cellule maggiormente strutturate”.