Libia: inondazioni a Derna, richiamo dell’Onu sui fondi per la ricostruzione

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 13/03/2024

La notte tra l’11 e il 12 settembre del 2023, nella città libica orientale ci furono migliaia di morti e interi quartieri furono distrutti. Ancora oggi non c’è certezza sulla conta delle vittime: ai 3.700 corpi seppelliti in fretta e furia nelle fosse comuni, vanno aggiunte circa 3.000 persone scomparse, per un bilancio complessivo totale stimato di circa 5.000 morti

La notte tra l’11 e il 12 settembre del 2023, la città libica orientale di Derna venne devastata da inondazioni che causarono migliaia di morti e la distruzione di interi quartieri. Ancora oggi non c’è certezza sulla conta delle vittime: ai 3.700 corpi seppelliti in fretta e furia nelle fosse comuni, vanno aggiunte circa 3.000 persone scomparse stando alla Procura generale, per un bilancio complessivo totale stimatodi circa 5.000 morti. Non solo. Altre 100 mila persone hanno perso interamente la propria casa, circa 50 mila abitazioni hanno subito danneggiamenti gravi, mentre 20 mila sono state danneggiate e richiedono lavori di restauro. Un disastro di vastissime proporzioni, causato dal cedimento di due dighe a valle della città libica situata tra Bengasi, il capoluogo della Cirenaica, e il confine con l’Egitto, durante il passaggio della tempesta sub-tropicale Daniel.

La Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha lanciato un appello per avviare un “programma nazionale coordinato” per la ricostruzione che, ad oggi, non è mai davvero partita. “Agenzia Nova” ne ha parlato con Claudia Gazzini, analista senior dell’International Crisis Group (Icg) che di recedente ha condotto una visita sui luoghi del disastro. Nonostante la gravità della tragedia, che secondo un rapporto della Banca Mondiale, delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea ha causato danni per 1,8 miliardi di dollari e colpito il 22 per cento della popolazione della Libia, ci sono comunque dei segnali positivi: “E’ sorprendente come sia già stata sgomberata la spianata della parte centrale, quella più distrutta dall’alluvione. La parte maggiore delle demolizioni e della pulizia è stata compiuta. E’ positivo anche che molte famiglie abbiano ricevuto sussidi per affitto e alloggio dal governo dell’est. Inoltre non si può parlare di una vera e propria crisi umanitaria, perché comunque cibo e aiuti ci sono. Il Programma alimentare mondiale, ad esempio, ha distribuito delle tessere annonarie per l’acquisto di alimenti”, spiega Gazzini. Tuttavia, l’analista evidenzia come una vera e propria inchiesta internazionale sul cedimento delle due dighe non sia mai partita. “Nessun esperto internazionale di dighe è mai riuscito ad andare sul campo e stiamo ancora aspettiamo una relazione degli ingegneri internazionali: questo fatto è importante perché poi bisogna valutare cosa fare della vallata e, per esempio, come incanalare l’acqua. Questo influenza anche il processo di ricostruzione”, aggiunge l’esperta.

Gazzini avanza dei dubbi anche sul procedimento penale in corso contro una quindicina di imputati. “Gli avvocati temono che possa essere un processo sommario e che porti solo a delle condanne politiche per trovare un capro espiatorio e incanalare il risentimento nei confronti di alcuni personaggi e non di altri. E’ indicativo il fatto che nessun membro del governo dell’est sia sotto processo: sono alla sbarra solo il sindaco e funzionari del ministero delle Acque e vari altri tecnici. E’ strano che Ali al Hibri (ex vicegovernatore della Banca centrale) sia tra gli indagati con delle accuse veramente infondate di mala gestione della cosiddetta ricostruzione di Derna: il Fondo per la ricostruzione della città che lui gestiva non ha nulla a che fare con le dighe crollate, che erano di competenza del ministero delle Acque”, aggiunge Gazzini.

La mancanza di studi internazionali sulle dighe impatta ovviamente anche sulla ricostruzione. Nel frattempo, aggiunge Gazzini, le autorità della Libia orientale stanno portando avanti un progetto di epoca gheddafiana per realizzare circa “2.000 unità abitative coreane” nei dintorni di Derna. “Vorrebbero ospitare lì fino a 10 mila persone entro la fine dell’anno. Poi, finiti i lavori, dovrebbero costruire altre mille unità abitative da altre parti”, spiega Gazzini, spiegando come si tratti però di una ricostruzione soltanto di facciata. “Non si affronta la questione del centro storico e di tutto ciò che è stato distrutto. Si finiscono questi progetti gheddafiani, ma la questione centrale di Derna, anche come tessuto sociale, non viene affrontata”, spiega di nuovo l’analista. Non è tutto. “C’è la mano pesante dell’Esercito nazionale libico (Enl). Molti a Derna si sentono completamente estranei dal processo decisionale sul futuro di Derna e questo crea del risentimento.

Tutto è deciso del comandante militare a Derna, Abdel Basset Bugris, e da Belkacem Haftar”, aggiunge Gazzini, in riferimento a uno dei figli del generale Khalifa Haftar, comandante in capo dell’Enl, posto al vertice del Fondo sviluppo e ricostruzione della Libia. Da parte sua, il capo dell’Unsmil e rappresentante speciale dell’Onu in Libia, Abdoulaye Bathily, ha invitato “le autorità e gli attori libici a portare avanti collettivamente una ricostruzione che si concentri sui bisogni e sugli interessi delle persone le cui vite sono state così gravemente colpite dalle inondazioni. Sottolineiamo la necessità di una piattaforma nazionale coordinata per la ricostruzione, per il rilascio di fondi per gli sforzi di ricostruzione a lungo termine e per la loro gestione e distribuzione trasparente con un controllo efficace e responsabilità nei confronti del popolo libico”.

Secondo Gazzini, il richiamo delle Nazioni Unite “è sempre stato un leitmotiv dall’inizio della tragedia, in cui si diceva che est e ovest si devono mettere d’accordo”. Con la costruzione del Fondo per la ricostruzione guidato da uno dei figli di Haftar, secondo l’analista, ora si dà per scontato che i soldi passeranno da Tripoli all’est, senza che vi siano particolari obiezioni a riguardo. “L’Onu e altri Stati membri, invece, avrebbero voluto una compartecipazione dei due governi: cioè non solo ovest che finanzia e est che esegue, ma una oversight comune anche tecnica anche di gestione dell’utilizzo dei fondi. E questa mi pare che nessuno la sua rincorrendo al momento, perché non conviene a nessuno”, conclude l’analista.