Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 12/12/2023
IL RITIRO DEI CASCHI BLU
Si sono conclusi con un ammainabandiera a Bamako i dieci anni di presenza in Mali della Missione delle Nazioni Unite Minusma, avviata nel 2012 per rispondere all’insurrezione jihadista che ancora ribolle sul territorio e chiusa ieri, 11 dicembre, al termine del ritiro delle truppe ordinato dalla giunta militare, al potere dal 2021. Dieci anni di presenza e combattimenti sul territorio che si sono consumati simbolicamente nella cerimonia con cui i vertici Minusma hanno abbassato la bandiera issata sul quartier generale della missione Onu. “La cerimonia segna simbolicamente la fine ufficiale della missione”, ha detto il portavoce di Minusma, Fatoumata Kaba, commentando la conclusione di un processo di ritiro avviato con l’approvazione ottenuta dal Consiglio di sicurezza Onu a giugno scorso e che ha coinvolto il personale stanziato nelle 12 basi attive in Mali, da Tessalit ad Aguelhok, fino a quella, più sensibile, di Kidal. In totale, l’Onu ha rimpatriato dal Mali oltre 12 mila caschi blu e 4.300 dipendenti civili. Dal suo dispiegamento, nel 2013, la missione Minusma ha perso in Mali 180 dei suoi membri.
Le operazioni di ritiro avrebbero dovuto concludersi nei primi mesi del prossimo anno, ma il rafforzamento dell’insurrezione jihadista nelle aree via via abbandonate dalle forze Onu ha spinto Minusma ad accelerare il rientro al 31 dicembre, concludendolo nei fatti ancora prima. Una vera e propria ritirata che ha coinvolto ad esempio la base militare di Ansongo, nella regione centrale di Gao, ritenuta significativa per garantire la sicurezza lungo la strada nazionale numero 17, asse transfrontaliero che collega il Niger al Mali. I caschi blu hanno lasciato definitivamente la base di Mopti nelle prime settimane di dicembre prima di iniziare la fase di ritiro da Bamako, Gao e Timbuctù, inizialmente prevista a partire dal primo gennaio del 2024 ma anticipata a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza per i militari sul territorio. L’annuncio del ritiro delle forze Onu ha infatti ulteriormente destabilizzato il già fragile equilibrio regionale, consentendo alla rosa di movimenti jihadisti attivi nella zona di riorganizzare un’offensiva contro il potere centrale. Una dinamica simile a quanto accaduto nel 2012, quando alla crisi istituzionale legata alla deposizione del presidente Amadou Touré seguì un’offensiva jihadista ancora in corso.
In linea con il processo di respingimento dell’influenza francese avviato dalla giunta ed il suo conseguente avvicinamento alla Russia, la giunta maliana ha stretto un accordo con le milizie paramilitari russe Wagner. L’intesa è criticata dai movimenti tuareg riuniti nel Quadro strategico permanente (Csp) e ha provocato ulteriori tensioni. Se dopo l’avvio del ritiro di Minusma i combattenti tuareg sono rimasti l’unico baluardo organizzato nel contrasto al terrorismo jihadista – per questo all’inizio sostenuti dallo stesso esercito maliano -, col tempo le tensioni interne e l’impossibilità di organizzare una lotta contro un nemico comune hanno diviso le forze e moltiplicato i fronti di combattimento in un Mali sempre più martoriato e pericoloso per i civili. Sui rischi di un ritiro dal Paese africano si era espresso anche il rappresentante speciale del Segretario generale Onu per il Mali e capo della Minusma, El Ghassim Wane, definendo “incredibilmente complicato” il processo. A fine agosto i miliziani del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim) hanno conquistato Timbuctù, imponendo un blocco intorno alla città e vietando l’ingresso ai camion merci provenienti dall’Algeria, dalla Mauritania e dalla regione meridionale maliana di Mema.
Oltre a Timbuctù, nota come “la perla del deserto”, i miliziani Jnim hanno preso di mira anche la città di Ber, dove si sono registrati violenti scontri tra le Forze armate maliane sostenute dalle milizie paramilitari russe Wagner, ed i combattenti tuareg del Coordinamento dei movimenti dell’Azawad (Cma). L’esercito ha poi riconquistato la città orientale di Kidal, presa dai ribelli dopo il ritiro delle forze Minusma e per la quale la giunta ha scelto come governatore il generale El Hadj Gamou, un leader ribelle filogovernativo inviso ai tuareg organizzati nel Csp. Importante figura della lotta al jihadismo in Mali, a fine dicembre del 2022 Gamou aveva lanciato un appello ai combattenti tuareg a federarsi per combattere insieme lo Stato islamico – in particolare la sua formazione nel Grande Sahara (Eigs) – invitando “i giovani tuareg di Algeria, Libia e altrove a raggiungere i dintorni di Gao”, la più grande città del nord del Mali da tempo teatro delle violenze jihadiste. La violenza nel nord del Mali è aumentata dallo scorso agosto, quando l’alleanza dei gruppi tuareg ha rotto gli accordi di Algeri – siglati con il governo centrale maliano nel 2015 dai principali gruppi armati del Paese – perché in disaccordo con la giunta militare salita al potere in Mali con un doppio colpo di Stato (agosto 2020, maggio 2021).
Ad agosto un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto nel quale si rintracciano le aree di influenza dello Stato islamico e dei suoi affiliati ad un anno dalla conclusione del ritiro delle forze francesi Barkhane e Takuba, nel 2022. Secondo il documento, in un anno di assenza internazionale lo Stato islamico ha raddoppiato il territorio che controlla in Mali, estendendo la sua influenza alle aree rurali del Menaka orientale e a gran parte dell’area di Ansongo, zone situate nella regione settentrionale di Gao. Per gli esperti, lo stallo nell’attuazione dell’accordo di pace di Algeri e gli attacchi prolungati contro le comunità hanno offerto sia all’Is che allo Jnim, il Gruppo (filo al-Qaeda) per il sostegno dell’Islam e dei musulmani che operano nella regione, la possibilità di “ricostruire lo scenario del 2012”, in uno scontro per il controllo del territorio simile a quello odierno, che rischia come allora di andare a vantaggio dei jihadisti.