Pubblicato da – Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 27/06/2024
Continua a crescere la portata delle proteste che da una settimana sta mettendo a ferro e fuoco il Kenya, e in particolare la capitale Nairobi, dopo l’approvazione di una controversa legge di bilancio che prevede l’aumento delle tasse in diversi settori.
La giornata più cruenta, finora, è stata quella di martedì, quando i manifestanti – scesi in strada in concomitanza con il voto finale dell’Assemblea nazionale – hanno preso d’assalto l’edificio del parlamento, il palazzo del municipio e la sede dell’Alleanza democratica unita (Uda) del presidente William Ruto. Il bilancio delle proteste è di 22 morti, ma potrebbe aumentare dal momento che decine di persone sono state ricoverate in ospedale in gravi condizioni. Il governo ha ordinato l’invio dell’esercito per aiutare la polizia a gestire l’emergenza e nuove manifestazioni sono state già annunciate per la giornata di oggi a Nairobi. In una serie di post pubblicati sulla piattaforma X, i sostenitori del movimento di protesta hanno infatti usato l’hashtag #tutanethursday (in un misto tra lingua swahili e inglese che significa “ci vediamo giovedì”), dopo aver diffuso un programma che prevedeva l’occupazione del parlamento martedì 25 giugno – cosa effettivamente avvenuta – e l’occupazione della State House, l’ufficio e la residenza del presidente, giovedì 27 giugno.
Il movimento di protesta non ha una leadership formale e si è organizzato principalmente sulle piattaforme dei social media. L’impressione, dunque, è che la protesta – che ha preso il nome di “Occupy Parliament”, sulla falsariga di quanto avvenne con il movimento “Occupy Wall Street” negli Stati Uniti – si sia trasformata, come spesso accade in questi casi, in una più ampia mobilitazione contro il governo e contro lo stesso presidente Ruto il quale, da quando è entrato in carica, nel 2022, ha introdotto in Kenya diverse tasse impopolari con l’obiettivo di eliminare il debito nazionale del Paese, pari a quasi 80 miliardi di dollari. Il rischio è però che le proteste portino a una fase di destabilizzazione di un Paese finora considerato baluardo della sicurezza regionale. Proprio il giorno prima dello scoppio delle violenze a Nairobi, lunedì 24 giugno, la Casa Bianca ha designato ufficialmente il Kenya come “principale alleato non Nato degli Stati Uniti”, facendone il primo Paese dell’Africa subsahariana ad ottenere questo riconoscimento, che consentirà a Nairobi di ottenere armi più sofisticate dagli Stati Uniti e di impegnarsi con Washington ai fini della legge e della legge sul controllo delle esportazioni di armi. Una designazione annunciata in occasione della visita di Stato che lo stesso presidente Ruto aveva effettuato a Washington il mese scorso. Ruto era stato il primo leader africano ad essere ricevuto alla Casa Bianca da un presidente Usa da 15 anni.
La concessione del nuovo status rappresenta un ulteriore salto di qualità nelle relazioni tra Stati Uniti e Kenya, consentendo a Washington di avere una maggiore influenza nell’Africa orientale.
Il Kenya fa anche parte del Gruppo di contatto per la Difesa dell’Ucraina, una coalizione di circa 50 Paesi che si riunisce regolarmente per coordinare il sostegno militare a Kiev contro l’invasione russa. Lo scorso 15 giugno, intervenendo alla Conferenza per la pace in Ucraina in Svizzera dopo aver partecipato al vertice del G7 in Puglia, il presidente Ruto si è unito ai leader mondiali nel condannare Mosca. Una posizione che si discosta da quella adottata da molti altri Paesi africani, più indulgenti nei confronti della Russia. Tutti tasselli che fanno del Kenya, ad oggi, il principale partner degli Usa in Africa, sul quale Washington ha dimostrato ampiamente di voler puntare per contrastare la crescente influenza di Cina e Russia nel continente.
Il fatto che a Nairobi siano esplose violente proteste contro il governo più filo-occidentale della storia del Kenya lascia dunque ipotizzare che le manifestazioni possano essere dettate anche da un tentativo di destabilizzare un Paese cruciale per la strategia Usa in Africa, peraltro già fortemente indebolita dall’imminente ritiro dei militari Usa dal Niger e dal Ciad (Paesi ormai entrati nell’orbita russa). Ad alimentare una simile ipotesi c’è anche il fatto che tra i manifestanti scesi in piazza a Nairobi siano state avvistate bandiere russe. Un copione che si era già visto nei Paesi del Sahel i cui governi negli ultimi anni sono stati rovesciati da colpi di Stato che hanno portato al potere giunte militari filo-russe.