Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 09/09/2023
Democrazia a rischio: nuovo caso di ribaltamento governativo nel continente africano. E’ stato “cacciato” il presidente Ali Bongo Ondimba, al potere dal 2009 e appena rieletto per un nuovo mandato alle elezioni generali che si sono tenute quattro giorni prima nel Paese
Lo scorso 30 agosto il Gabon è stato teatro di un colpo di Stato che ha portato al rovesciamento del presidente Ali Bongo Ondimba, al potere dal 2009 e appena rieletto per un nuovo mandato alle elezioni generali che si sono tenute appena quattro giorni prima nel Paese. Quello in Gabon è stato l’ottavo golpe verificatosi negli ultimi tre anni in Africa, a dimostrazione della crescente instabilità che interessa il continente. Tuttavia, sarebbe fuorviante equiparare il golpe avvenuto nel Paese centrafricano a quanto accaduto di recente nel Sahel, dal Mali alla Guinea, dal Burkina Faso al Niger, passando per il Ciad. In questi ultimi casi, infatti, la mano russa è stata evidente fin da subito, non solo per la conclamata presenza del gruppo Wagner in buona parte di questi Paesi (soprattutto in Mali), ma anche per le partecipate manifestazioni di marcato stampo filorusso, con tanto di bandiere sventolate e slogan antifrancesi e antioccidentali intonati dai dimostranti.
In Gabon, al contrario, non è finora avvenuto nulla di tutto ciò. Sono anzi numerosi gli osservatori secondo i quali il colpo di Stato a Libreville andrebbe inquadrato come “golpe di palazzo”, finalizzato cioè al mantenimento di uno “status quo”, magari per porre un argine alla pressione della contestazione elettorale che era in gestazione – specie dopo le accuse di brogli elettorali sollevate dall’opposizione subito dopo la chiusura delle urne – e che avrebbe potuto far crollare il sistema di potere ultra cinquantennale messo in piedi Omar Bongo, padre del presidente ora destituito. Una simile lettura, del resto, non sarebbe in contraddizione con l’ipotesi di un golpe “pilotato” dall’interno, o comunque non sgradito alle potenze occidentali, in primis Francia e Stati Uniti.
Ad avvalorare tale ipotesi, a ben vedere, potrebbe essere la notizia, riportata dal sito d’inchiesta “Africa Intelligence”, secondo cui poco prima della sua estromissione il presidente deposto Bongo – che già nel gennaio 2019 fu vittima di un tentativo di rovesciamento, poi fallito – aveva dato il su consenso orale all’omologo cinese Xi Jinping per l’installazione di una base navale di Pechino nella penisola di Mandji, a Port-Gentil. Secondo le fonti di “Africa Intelligence”, il complesso militare sarebbe stato affidato alla Marina dell’Esercito popolare di liberazione (Mapl) che avrebbe dovuto stabilire la sua prima base sulla costa atlantica e la seconda nel continente, dopo quella di Gibuti.
Stando alle stesse fonti, dopo i negoziati, iniziati diversi mesi fa, Bongo aveva dato il suo accordo di principio al progetto. Resta ora da capire se la giunta militare guidata dal generale Brice Oligui Nguema, salito al potere dopo il golpe, darà o meno il suo benestare alla realizzazione del progetto. Da parte loro gli Stati Uniti e la Francia avevano già espresso le loro preoccupazioni sulla questione. Nel marzo 2022 Stephen Townsend, ex capo del Comando Usa per l’Africa (Africom), aveva infatti interrogato la Camera dei rappresentanti sulla potenziale presenza di Pechino nel Golfo di Guinea. Da parte sua Alexis Lamek, ambasciatore francese in Gabon, avrebbe recentemente approfittato del suo incontro con il capo del Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni (Ctri) per esprimere ancora una volta il rifiuto del suo Paese alla riuscita di un simile progetto.
Nel luglio scorso, inoltre, l’ammiraglio Pierre Vandier, ex capo di Stato maggiore della Marina francese, sarebbe stato inviato dall’Eliseo a Libreville per cercare di dissuadere Ali Bongo. Si tratta di elementi che potrebbero far ipotizzare una certa preoccupazione da parte di Washington e Parigi verso un possibile avvicinamento di Bongo alla Cina, ed anche alla Russia. Vale la pena di ricordare, del resto, che il Gabon figura tra i quattro Paesi (con Cina, Brasile e India) che nel settembre 2022 si sono astenuti sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina sudorientale (Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson) alla Federazione russa. Quanto ai rapporti di Bongo con la Cina, essi affondano le radici a diversi anni fa, come conseguenza di un processo di progressivo allontanamento dalla strategia del padre Omar.
Come scrive l’Istituto francese delle relazioni internazionali (Ifri) in una pubblicazione del luglio 2018, specie negli ultimi anni il presidente estromesso aveva cercato gradualmente di smarcarsi dall’influenza francese – rimasta per decenni inscalfibile sotto la presidenza di suo padre Omar – e di moltiplicare i contatti con l’Asia, in particolare con Cina e India, ma anche con Malesia e Singapore, senza dimenticare le relazioni di lunga data con Marocco e Arabia Sau- dita. Tutti fattori che contribuirono ad allontanare progressivamente Libreville da Parigi, spingendo la Francia ad abbandonare l’iniziale intenzione di stabilire in Gabon una base militare con capacità d’intervento su tutta l’Africa centrale, riducendo la presenza dai 600 uomini originari a circa 400.
Diversamente da altri Paesi del Sahel, dove peraltro la presenza francese è più corposa, in Gabon non è inoltre di stanza alcuna forza speciale. A Libreville è presente il sesto battaglione di fanteria di Marina, situato a Camp de Gaulle a Libreville, mentre nella base 175 un’unità aerea francese fornisce accoglienza e supporto logistico agli aerei in distaccamento o in transito nella regione. In realtà si tratta soprattutto di una missione di formazione che viene effettuata sul posto, in primo luogo per l’esercito gabonese ma anche per i militari di altri dieci Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa centrale (Ec-cas).