Sahel: le giunte golpiste annunciano una forza congiunta antijihadista

Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 08/03/2024

Dopo l’uscita dalla Cedeao, in azione per contrastare la minaccia jihadista nella cosiddetta “zona delle tre frontiere”, al confine tra Niger, Mali e Burkina Faso, da anni considerato l’epicentro del terrorismo islamista a livello mondiale

Una forza congiunta per contrastare la minaccia jihadista nella cosiddetta “zona delle tre frontiere”, al confine tra Niger, Mali e Burkina Faso, da anni considerato l’epicentro del terrorismo islamista a livello mondiale. È questo l’annuncio fatto dal capo dell’esercito del Niger, Moussa Salaou Barmou, il quale ha precisato che il nuovo dispositivo militare sarà operativo “il prima possibile”, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli. In un comunicato diffuso “al termine di colloqui congiunti” svolti nella capitale del Niger, Niamey, Barmou si è limitato ad affermare che la nuova forza servirà ad “affrontare le sfide alla sicurezza nella nostra regione”. “Siamo convinti che, con gli sforzi congiunti dei nostri tre Paesi, riusciremo a creare le condizioni per una sicurezza condivisa”, ha dichiarato il generale, uno degli ufficiali militari che hanno partecipato al colpo di Stato che lo scorso 26 luglio ha destituito il presidente Mohamed Bazoum. L’annuncio delle giunte militari dei tre Paesi segna un altro passo nella loro crescente cooperazione e volontà di distanziarsi dalle potenze occidentali, in primis dalla Francia. Dopo i colpi di Stato che, nell’arco di tre anni, hanno rovesciato i governi democraticamente eletti in tutti e tre i Paesi saheliani, le forze francesi sono state infatti costrette al ritiro, determinando un progressivo scivolamento di Mali, Burkina Faso e Niger verso l’orbita russa.

L’intensificarsi dell’offensiva dei gruppi jihadisti legati allo Stato islamico e ad al Qaeda, d’altro canto, ha spinto questi Paesi a rivolgersi sempre di più alle milizie paramilitari dell’ex gruppo Wagner (ora ribattezzato Africa Corps dopo la morte del fondatore Evgenij Prigozhin), un fatto che ha finito per suscitare più di una preoccupazione tra le cancellerie occidentali. Parallelamente, i Paesi golpisti del Sahel hanno deciso di far fronte comune anche sul fronte politico-militare. È così che a settembre tre Paesi hanno formato l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes), iniziativa militare ma anche diplomatica che intende garantire indipendenza ai tre Paesi rispetto ad organismi regionali o internazionali. Di recente i ministri degli Esteri dei tre Paesi, riuniti a Bamako, hanno dato forma compiuta a questa coalizione, dandole una dimensione politica e diplomatica. Le tre parti, si legge nel comunicato congiunto diffuso al termine della riunione, stanno lavorando all’adozione di protocolli aggiuntivi, all’istituzione di organi istituzionali e giuridici dell’Alleanza e alla “definizione delle misure politiche e del coordinamento diplomatico”.

Inizialmente l’Aes è nata come un patto di difesa tra Mali, Niger e Burkina Faso, che hanno deciso di unire le loro risorse militari per combattere gruppi ribelli o jihadisti. Tuttavia, i tre Paesi intendono ora andare oltre e fondare una vera unione economica e politica che faccia da contraltare alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) che, agli occhi dei golpisti, è tuttora un’organizzazione controllata ancora dalla Francia e dai suoi alleati occidentali. Nel novembre scorso, poi, i ministri dell’Economia e delle Finanze dei tre Pasi hanno raccomandato la creazione di un fondo di stabilizzazione e di una banca di investimento comune, nell’ottica della formazione di un’alleanza anche economico-militare che porti ad un graduale superamento del franco Cfa. Il progressivo allontanamento dei Paesi del Sahel dall’orbita occidentale ha conosciuto, poi, un passo decisivo lo scorso 28 gennaio, quando le giunte di Mali, Niger e Burkina Faso hanno annunciato l’intenzione “irrevocabile” di ritirarsi dalla Cedeao a partire dal 2025, scatenando forti preoccupazioni all’interno del blocco, di cui i tre Paesi rappresentano circa il 12 per cento del Pil ed il 16 per cento della popolazione.

Nel tentativo di trattenerli, o di fare comunque un gesto conciliante nei loro confronti, a fine febbraio i vertici Cedeao hanno deciso di revocare parzialmente le sanzioni commerciali imposte a Mali, Niger e Guinea – un altro Paese guidato da una giunta militare – dopo i rispettivi colpi di Stato. La revoca delle sanzioni, però, non è stata estesa al Burkina Faso, i cui militari si sono mostrati fino ad ora meno propensi al dialogo rispetto alle giunte vicine, e il cui peso politico e territoriale è stato valutato meno incisivo rispetto a quello di Bamako e Niamey. Sotto la guida del colonnello Ibrahim Traoré, il Burkina Faso affronta al contempo una grave crisi della sicurezza, con il 60 per cento del territorio che è ormai fuori dal controllo statale e in mano ai gruppi jihadisti, in preda ad una crescente instabilità politica che rischia di avere ripercussioni regionali non di poco conto. Oltre all’uscita dalla Cedeao, nel dicembre scorso Burkina Faso e il Niger avevano consumato la rottura definitiva anche con l’organizzazione G5 Sahel, istituita nel 2014 – sotto l’egida francese – a Nouakchott in occasione di un vertice di cinque Paesi del Sahel (Mauritania, Burkina Faso, Ciad, Mali e Niger). Gli addii di Burkina Faso e Niger, peraltro, avevano fatto seguito a quello del Mali, annunciato nel maggio 2022.

La relazione sempre più stretta tra Niger, Mali e Burkina Faso, del resto, è stata confermata dalla Relazione annuale dell’intelligence 2023, presentata la scorsa settimana a Roma. Una cooperazione che il documento definisce “sempre più strategica” dopo la firma, il 16 settembre, dell’Alleanza degli Stati del Sahel, “un accordo prettamente militare che, con il passare del tempo, i vertici dei tre Stati stanno tuttavia riempiendo di contenuti politici, al fine di ridisegnare il sistema delle alleanze regionali”. È in quest’ottica, ricorda l’intelligence italiana, che Niger e Burkina Faso si sono uniti al Mali nell’annunciare l’uscita dal gruppo G5 Sahel (di fatto causandone lo scioglimento) che nell’ultimo decennio aveva costituito la principale forma di cooperazione regionale di sicurezza sostenuta dall’Occidente. A fattor comune, conclude il documento, “è apparsa più palese l’intenzione dei tre Paesi di ridisegnare i propri canali di cooperazione privilegiando i legami con la Russia e cercando spazi diplomatici nell’ambito della cooperazione Sud-Sud”.