Sempre più Cina in Africa Ma l’Italia può dire la sua

Pubblicato da il Quotidiano del sud – L’Altravoce dell’Italia – 06/09/2024

La Cina non molla l’Africa. Anzi, rilancia: il presidente Xi Jinping ha annunciato ieri mattina investimenti per 51 miliardi di dollari nel continente nei prossimi tre anni, ma soprattutto un rinnovato impegno sul fronte militare, con programmi di formazione e addestramento, esercitazioni e pattugliamenti congiunti. Sviluppi che devono preoccupare l’Occidente, poiché giungono in un momento in cui sia gli Stati Uniti (alle prese con la campagna elettorale per le presidenziali di novembre) che l’Unione europea (in fase di riassetto dopo le elezioni di giugno) non sono in grado di coordinare una strategia coerente e condivisa.

Tuttavia, la presenza cinese in Africa è “sfidabile” e la strada giusta è quella tracciata dall’Italia con il suo Piano Mattei. Ne è convinto Carlo Pelanda, economista e accademico, analista tra i più attenti agli sviluppi dello scenario internazionale. In apparenza, osserva Pelanda, i numeri emersi dal Forum di cooperazione Cina-Africa a Pechino sono molto importanti. Essi, tuttavia, “non sono sufficienti a consolidare la presenza cinese in territori critici dell’Africa, come nelle speranze di Pechino”. Anche per l’analista Germano Dottori, consigliere scientifico di “Limes”, si tratta di “una cifra relativamente modesta”, soprattutto “se spalmata sul complesso dei Paesi africani che intrattengono relazioni politiche ed economiche con Pechino”.

“Se invece gli aiuti fossero concentrati su un novero più circoscritto di Stati, gli effetti potrebbero essere più significativi”. Anche perché, riflette Dottori, “forse è in corso una rivalutazione della strategia complessiva delle allocazioni”. “Non è da escludere che Pechino ritenga sufficiente un’assistenza più contenuta. Gli anni dei grandi investimenti in Africa coincidono con un periodo di rapporti relativamente buoni con gli Stati Uniti. Adesso Xi deve invece finanziare una corsa al riarmo con un’America più risoluta a contrastarne l’ascesa. E poi ci sono le Vie della seta, che costituiscono un’altra sorgente di spese aggiuntive.

Ci sono anche nuove domande interne da soddisfare”, aggiunge l’esperto pensando, per esempio, alla crescente spesa di Pechino per lo Stato sociale e alla necessità di fronteggiare crisi come quella che ha investito il settore immobiliare. C’è di più. Secondo Pelanda, con la crescita del suo impegno militare in Africa la Cina rischia di aprire qualche crepa nel rapporto con la Russia, “il cui sforzo nel continente è pure molto forte”. “Se Pechino offre armamenti ai Paesi africani, Mosca ci perde. E le élite russe sono sempre più inquietate dall’abbraccio con la Cina, che ritengono perdente, al punto da trasmettere qualche segnale in tal senso anche ai Paesi del G7.

Le intelligence occidentali dovrebbero farci maggiore attenzione”, sottolinea il professore, che non esclude che il presidente russo Vladimir Putin possa arrivare a chiedere all’India di contrastare la penetrazione cinese in Africa. L’opinione di Pelanda, in ogni modo, è che l’Occidente possa competere con la Cina in Africa, ma occorre prima tuttavia definire “una mappa” per stabilire quali siano i Paesi nei quali è possibile e opportuno sfidare Pechino. Servirà, probabilmente, attendere la prossima primavera. “Comunque vadano le elezioni, saranno gli Stati Uniti a decidere il tipo di ingaggio.

Questo non implicherà necessariamente interventi diretti da parte di Washington, ma per muoversi i Paesi europei avranno bisogno dell’ombrello Usa”. Un ombrello di cui gode l’Italia, che ha anche mantenuto una presenza militare in Niger a fronte del ritiro francese e statunitense. Roma, secondo Pelanda, ha una “posizione coraggiosa” e “la strategia giusta”. Al momento “la seguono in pochi”, ma se saprà portare più risorse in Africa l’Italia avrà spazio di crescita “in almeno una decina di Paesi del continente”. È un punto sul quale converge anche Dottori. “Nei confronti dell’Italia, mentre la Francia sta riducendo la propria impronta in Africa, stanno emergendo delle aspettative. Alcuni interlocutori, in effetti, ci chiedono già di contribuire alla loro sicurezza”, evidenzia l’analista.