Pubblicato da Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia – 10/04/2024
La mossa di Ankara sembra motivata dalla necessità di spegnere i riflettori sull’inflazione e dalla recente sconfitta del partito di Erdogan
Dopo l’inizio della ostilità nella Striscia di Gaza tra i gruppi armati islamisti e le Forze di difesa israeliane (Idf) il 7 ottobre 2023, la Turchia ha denunciato a più riprese Israele per la sua campagna militare nell’enclave, ha chiesto in numerose occasioni e contesti un immediato cessate il fuoco, ha sostenuto le varie iniziative internazionali volte a perseguire lo Stato ebraico per presunti crimini internazionali e ha inviato migliaia di tonnellate di aiuti per la popolazione palestinese della Striscia. La tensione diplomatica tra i due paesi è stata chiaramente evidenziata dalla decisione, presa poco dopo l’inizio della guerra, di Turchia e Israele di ritirare i propri ambasciatori a Tel Aviv e Ankara.
Tuttavia, nonostante ciò e malgrado l’innalzamento della tensione verbale e diplomatica e una retorica pubblica più marcatamente intransigente, Ankara aveva finora mantenuto intatti i legami commerciali con Israele. A sorpresa, però, ieri il ministero del Commercio turco ha annunciato di bloccare le esportazioni di 54 tipologie di beni verso Israele, provocando una dura risposta verbale da parte della diplomazia israeliana.
La mossa di Ankara verso Tel Aviv sembra essere motivata, più che dall’orientamento internazionale della politica estera turca, da una necessità interna, ovvero distogliere l’attenzione dall’elevato costo della vita contestuale all’inflazione e dalla sconfitta del partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, Giustizia e sviluppo (Akp), alle elezioni amministrative del 31 marzo scorso. “Agenzia Nova” ne ha parlato con due esperti, Roberta La Fortezza, analista del Medio Oriente, e Roberto Sciarrone, dottore di ricerca in Storia. Entrambi gli esperti concordano sul fatto che si tratta di un modo per distogliere l’opinione pubblica interna dalla sconfitta alle elezioni amministrative e dai dati sull’inflazione, focalizzandosi su temi di politica estera dove negli ultimi anni ha svolto un ruolo di mediazione e di visibilità, tra cui l’accordo sul grano con Ucraina e Russia.
Il punto da cui partire, quindi, sembra essere la situazione interna turca. Sul piano economico, l’infla – zione annua è salita nel mese di marzo al 68,5 per cento, con un aumento dell’1,5 per cento rispetto a febbraio, quando si era attestata al 67 per cento. Sul piano politico, le elezioni amministrative del 31 marzo scorso hanno sancito una vittoria dell’opposizione, con il Partito popolare repubblicano (Chp) che ha ottenuto in generale il 37,77 per cento dei voti – a fronte del 35,49 per cento raccolto dall’Akp – tornando a riaffermarsi sia nella capitale Ankara che a Istanbul, città più popolosa e centro economico del Paese. Nel complesso, il Chp ha vinto in 14 aree metropolitane, 21 province e 337 distretti, mentre l’Akp in 12 aree metropolitane, 12 province e 356 distretti.
“I risultati delle elezioni amministrative confermano la sofferenza in politica interna di Erdogan, che prova a spostare il dibattito interno – concentrato sulla pesante sconfitta dell’Akp – su temi e questioni estere”, ha dichiarato Roberto Sciarrone, dottore di ricerca in Storia. L’esperto ha evidenziato che “la ‘narrativa’ turca in politica estera, in questi anni, è stata alimentata con forza attraverso un ruolo di primo piano come media potenza regionale”. Inoltre, dopo il 7 ottobre la Turchia è stata teatro di manifestazioni di piazza a sostegno della causa palestinese, “non sorprende quindi l’annuncio del ministero del Commercio turco di oggi volto a limitare le esportazioni di numerosi beni verso Israele, compresi prodotti in acciaio, ferro e alluminio”, secondo Sciarrone.
Vale la pena sottolineare che la decisione presa “rimarrà in vigore fino a quando Israele non dichiarerà un cessate il fuoco immediato e consentirà l’accesso continuo degli aiuti umanitari a Gaza”. Circa un mese fa, in un discorso tenuto a Istanbul, il presidente turco aveva ribadito il suo “fermo sostegno” ai leader di Hamas, nonché la condanna alle operazioni militari di Israele nella Striscia di Gaza (avviate il 7 ottobre 2023, in risposta all’attacco del movimento islamista contro lo Stato ebraico). “Nessuno può indurci a descrivere Hamas come un’organizzazione terroristica. La Turchia è un Paese che parla apertamente di tutto con i leader di Hamas, e li sostiene fermamente”, aveva affermato il capo dello Stato. In più occasioni, inoltre, in piena campagna elettorale Erdogan era arrivato ad augurare la morte al primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, pur senza mai adottare misure economiche restrittive. Al riguardo, l’analista di Medio Oriente Roberta La Fortezza ha chiarito che “le restrizioni commerciali decise da Ankara fanno seguito al rifiuto da parte di Israele di una richiesta turca di prendere parte a un’operazione di lancio di aiuti aerei su Gaza”. Se l’episodio rappresenta il casus belli, “lo scenario è tuttavia più complesso e si ricollega sia a questioni internazionali sia alla stessa situazione politica interna turca”, ha evidenziato La Fortezza.
Dal punto di vista interno turco, “Erdogan ha dovuto affrontare crescenti critiche da parte di attori politici e partitici interni e della stessa opinione pubblica turca proprio a causa dei legami commerciali rimasti immutati con Israele, e ciò a prescindere dalla forte retorica anti- israeliana utilizzata da Erdogan”, ha affermato l’esperta. “Proprio sabato 6 aprile a Istanbul – ha aggiunto – si sono registrate importanti manifestazioni filo-palestinesi nel contesto delle quali si è chiesto di porre fine ai rapporti commerciali con Israele”.
La Fortezza ha evidenziato inoltre che “l’approccio finora utilizzato da Erdogan nelle scelte relative ai rapporti con Israele potrebbe essere stato anche uno dei motivi alla base della stessa parziale sconfitta del suo partito, l’Akp, alle elezioni locali del 31 marzo”. Il Partito New Welfare (Yeniden Refah), che ha assunto posizioni estremamente rigide sulla questione dei rapporti con Israele, ha ottenuto un buon risultato; lo stesso Chp, risultato indiscusso vincitore delle amministrative, aveva in numerose occasioni chiesto la sospensione totale del commercio con Israele. La decisione di Erdogan, dunque, ha spiegato La Fortezza “potrebbe evidenziare la volontà di seguire una linea politica più intransigente nei confronti di Israele, ipotecando probabilmente almeno per il momento quel riavvicinamento a cui si era assistito prima dell’inizio del conflitto tra Israele e Hamas”. E’ “significativo anche il giorno in cui Erdogan ha effettuato l’annuncio: si tratta, infatti, della festività musulmana dell’Eid al Fitr, la festa musulmana che segna la fine del Ramadan – il mese del digiuno per i musulmani -. Ciò probabilmente, a livello simbolico, mira a sottolineare quella vocazione panislamica e neo-ottomana della Turchia di Erdogan che si ritrova nel tentativo turco di porsi come leader del complesso e sfaccettato mondo musulmano”, ha spiegato La Fortezza.
Subito dopo l’annuncio turco, il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha dichiarato che Erdogan “sta sacrificando il benessere economico del popolo turco per sostenere Hamas”. “Prepareremo un elenco esteso di ulteriori prodotti che Israele impedirà alla Turchia di esportare”, ha avvertito Katz, aggiungendo che chiederà inoltre agli Stati Uniti di fermare gli investimenti nell’economia turca e di “imporre sanzioni” contro Ankara.
Tra le forniture turche soggette alla restrizione dell’export, figurano carburante per aerei, olio per motori, cemento, piastrelle e vari prodotti in acciaio e alluminio. Al riguardo La Fortezza ha dichiarato a “Nova”: “Indubbiamente Israele è una delle principali destinazioni dell’export turco di acciaio; in via ipotetica, dunque, le restrizioni potrebbero danneggiare in parte i produttori ed esportatori turchi del settore. Tuttavia, è presto per dire quale effettivamente sarà l’impatto della decisione sull’economia turca”. La decisione presa oggi da Ankara, la prima misura concreta “contro” Israele adottata dalla Turchia, “giunge in un momento particolare del conflitto tra Israele eHamas, oltre che della vita politica interna israeliana: il 25 marzo si è registrata la prima astensione da parte degli Stati Uniti, irriducibile alleato di Israele, in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha consentito l’approvazione della risoluzione su un cessate il fuoco immediato; contestualmente, diverse voci si stanno sollevando sulla possibilità che si vada a elezioni anticipate in Israele, mettendo in discussione la permanenza al potere dell’attuale dirigenza politica israeliana”, ha concluso La Fortezza.